Nel corso della crisi politica che minaccia di travolgere il governo, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha trovato ancora una volta il sostegno del mondo cattolico, o almeno di una sua parte. Azione Cattolica, la Conferenza episcopale italiana e il settimanale Famiglia Cristiana, tra gli altri, hanno espresso sgomento per la crisi e auspicato una sua rapida soluzione.

Di questa “relazione speciale” tra Conte e i cattolici si parla fin dall’insediamento del suo primo governo. Secondo le cronache politiche degli ultimi anni, al centro di questa rete di amicizie c’è un’istituzione prestigiosa, apprezzata dai conoscitori della chiesa cattolica, ma quasi sconosciuta al grande pubblico. Si tratta del Collegio universitario fondazione Domenico Tardini. Ma chi la conosce e l’ha frequentata la chiama semplicemente Villa Nazareth.

La Villa

Fondata nel 1946 dal cardinal Domenico Tardini, uno dei più importanti diplomatici vaticani del Novecento, Villa Nazareth è una residenza universitaria che offre gratuitamente vitto, alloggio e corsi di formazione a studenti universitari in condizioni economiche difficili e usciti con buoni voti dalle scuole superiori.

Villa Nazareth ha svolto questo ruolo coltivando per anni «riservatezza» e senza fare «chiasso», ricorda Dino Boffo, ex direttore di Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani. Ma questo, precisa Boffo, non significa che si tratti di una realtà di poca importanza nella chiesa cattolica. Al suo vertice, o tra i ranghi dei suoi assistenti spirituali, infatti, sono passati alcuni dei più importanti prelati dell’ultimo secolo. Dal capo della diplomazia vaticana negli anni Settanta e Ottanta, Achille Silvestrini, all’attuale segretario di stato Pietro Parolin.

Quando nella primavera del 2018 i giornali hanno scoperto che il presidente del Consiglio Conte era stato in passato un frequentatore del collegio, questa piccola istituzione che ospita un’ottantina di studenti nella periferia occidentale di Roma si è trovata catapultata al centro delle cronache del potere romano. Studenti ed ex alunni hanno ritrovato il loro collegio su tutti i giornali, descritto come una prestigiosa scuola dalle quale alti prelati di orientamento progressista selezionano una nuova classe dirigente, un «vivaio di laici cattolici», una «Oxford della periferia romana» e persino una «Hogwarts della chiesa». Alcuni sono andati oltre, ipotizzando che il collegio celasse l’incubatrice di un futuro partito cattolico di cui l’attuale presidente, l’arcivescovo Claudio Maria Celli, sarebbe l’eminenza grigia e Conte il volto pubblico.

Hogwarts a Primavalle

Per capire quanto ci fosse di vero in queste descrizioni, lo scorso luglio siamo andati a visitare Villa Nazareth e abbiamo intervistato una dozzina tra studenti, tutor ed ex alunni. Il collegio si trova a Roma ovest, nel quartiere Primavalle, di fronte alla pineta Sacchetti. Al centro di uno spazio grande come un isolato c’è l’edificio dell’amministrazione, una villetta rossa di due piani che sembra la casa di un gentiluomo di campagna dei primi del Novecento. Gli altri edifici sono più moderni e anonimi: blocchi di cemento alti quattro piani con pareti giallo pallido. Qui dormono, studiano e mangiano una quarantina di ragazze e altrettanti ragazzi. Qualche albero, un parcheggio, un campo da calcio e uno da tennis, entrambi abbandonati e sommersi dalle erbacce, completano il quadro (servirebbe un grosso finanziamento per sistemarli, ma il collegio non ha molti fondi a disposizione). Per essere una “Hogwarts dei cattolici”, a Villa Nazareth manca del tutto il fascino esclusivo delle università britanniche a cui si ispira la scuola di maghi inventata da J. K. Rowling.

L’attuale direttrice della scuola è la prima nella storia del collegio essere assunta con un regolare contratto da dipendente. In precedenza, i direttori erano tutti volontari. Si chiama Sara Pennatini ed è un’avvocata specializzata in consulenza per le realtà non profit. Come quasi tutti coloro che lavorano alla Villa, anche lei è un’ex allieva.

Pennatini è piena di energia mentre fa da guida tra gli edifici del collegio. La struttura destinata ai ragazzi è la più vecchia e quella che risente più del tempo. Muri e porte sono vecchi e le stanze piuttosto piccole. Agli albori di Villa Nazareth, negli anni Quaranta e Cinquanta, queste erano le camere destinate ai ragazzi delle elementari. «Soltanto l’anno scorso siamo finalmente riusciti a liberarci degli ultimi banchi a misura di ragazzino», dice Pennatini.

Poco lontano c’è un edificio più nuovo, destinato alle ragazze e terminato una quindicina di anni fa. «Prima noi ragazze stavano in appartamenti esterni alla Villa, spesso in camere doppie, triple o quadruple», racconta Pennatini. Oggi, invece, tutti gli studenti hanno a disposizione una stanza singola, in genere con bagni in comune. Hanno anche sale per la televisione, un’emeroteca rifornita ogni giorno dai ragazzi che vanno all’edicola vicina a comprare i giornali, una palestra con una mezza dozzina di macchinari donati dalla Technogym, e diverse sale studio.

Gli studenti sono continuamente coinvolti nella gestione di Villa Nazareth, spiega Pennatini. Oltre alla portineria, i ragazzi organizzano i seminari, puliscono le loro stanze, curano gli account social del collegio e pubblicano un giornalino mensile. «Cerchiamo di responsabilizzarli, di insegnargli abilità che gli saranno utili nel mondo del lavoro – dice Pennatini – spesso escono dal liceo che non sanno scrivere una mail formale o non hanno mai parlato in pubblico». Il collegio fornisce anche un aiuto più tradizionale, come tutor di varie materie che aiutano nel preparare gli esami e il sostegno di uno psicologo, tutti ex studenti volontari.

Per molti aspetti, Villa Nazareth somiglia a una comunità autogestita, ma nonostante questa impronta dagli echi sessantottini, nelle giornate del collegio non mancano i momenti solenni. Il più importante è la cena in comune, servita in una grande sala spoglia (la stessa in cui, il 20 ottobre del 1959, il fondatore del collegio, il cardinal Tardini, annunciò a oltre 200 giornalisti il prossimo inizio del Concilio Vaticano II).

Oggi, gli studenti si radunano in questa sala intorno all’arcivescovo Celli e, in passato, attorno al cardinale Silvestrini e ai personaggi della cultura e della politica che vengono invitati per dialogare con i ragazzi. Studenti ed ex sono concordi nel dire che la vicinanza e la familiarità con questi personaggi è uno dei principali vantaggi che hanno avuto nel frequentare Villa Nazareth. Ma nonostante tutto questo venga offerto gratuitamente, da qualche tempo Villa Nazareth ha difficoltà a riempire i suoi circa cento posti e un paio rimangono vuoti ogni anno. Colpa del cambiamento delle abitudini delle famiglie, pensa Pennatini, o forse della scarsa pubblicità che il collegio riesce a farsi.

Secondo Emanuele Scarpa, uno studente del collegio napoletano dalla voce profonda che studia medicina e chirurgia, una delle ragioni di questa situazione potrebbe avere a che fare con il nome del collegio, che fa subito pensare a un posto pieno di regole e dove la disciplina è osservata in modo rigido. «In realtà non abbiamo un coprifuoco, siamo liberi di gestirci come meglio crediamo», spiega. Anche l’offerta spirituale è soltanto un’offerta, non un percorso forzato. Non c’è obbligo di andare a messa, né serve essere cattolici per ottenere un posto. Oggi al collegio ci sono due studenti musulmani. Scarpa dice di essere entrato da ateo e di esserlo rimasto anche dopo quattro anni trascorsi da residente nel collegio.

«A fianco ma non dentro»

Le persone che vivono e lavorano intorno a Villa Nazareth sostengono che quello che è stato scritto su Giuseppe Conte e i suoi rapporti con il collegio è in gran parte frutto di ricostruzioni inaccurate. Ad esempio, non è vero, come hanno scritto molti, che Conte è stato uno studente del collegio. «Conte è uno che ha camminato a fianco, ma non dentro Villa Nazareth», racconta Massimo Gargiulo, ex studente che ha ricoperto ogni sorta di ruolo nell’amministrazione del collegio, sempre da volontario.

Gargiulo ricorda bene la storia. Il futuro presidente del Consiglio partecipò all’esame di ammissione a Villa Nazareth nel 1983. All’epoca il collegio era diretto dalla professoressa Angela Groppelli, una psicologa e suora dell’ordine delle paoline. «Fu proprio lei a esaminarmi. Usava dei modernissimi test psicoattitudinali per capire le qualità dei ragazzi», ha raccontato Conte in un’intervista a Panorama.

Conte superò l’esame in modo brillante, ma fu escluso per via del suo reddito familiare troppo elevato. Il cardinal Silvestrini e la professoressa Groppelli, però, non si erano dimenticati di lui. Dopo la laurea gli proposero di diventare un tutor degli studenti di diritto amministrativo. Conte accettò e da allora è rimasto legato al collegio diventando membro del suo comitato scientifico, fornendo consulenze, aiutando nei contatti con diverse università negli Stati Uniti e curando i suoi rapporti personali con gli alti prelati legati alla scuola.

Ma Conte non era un frequentatore abituale della Villa. «Con tutta sincerità, io Conte non l’ho mai visto o se l’ho incrociato non sapevo chi fosse», dice Gargiulio, che oggi è professore di liceo e docente di ebraistica alla Gregoriana. Gargiulo non è tra quelli che hanno accolto con entusiasmo l’improvvisa popolarità che il presidente del Consiglio ha dato al collegio. «Avrei preferito che Villa Nazareth venisse conosciuta per le centinaia di studenti che sono passati di qua e che grazie alla Villa hanno potuto studiare e laurearsi».

I prelati

Villa Nazareth non avrebbe attirato così tanta attenzione se, oltre ai suoi legami con il presidente Conte, non avesse avuto rapporti privilegiati con alcuni degli ecclesiastici più importanti della storia recente. È una vicenda che il professor Carlo Felice Casula, che insegna storia contemporanea all’Università di Roma Tre, conosce bene, sia per averla studiata che per averla vissuta.

Casula fa parte di quella che gli altri ex allievi chiamano la “generazione eroica”, quella formata dai figli di famiglie spesso poverissime che frequentarono la Villa nei primi anni della sua fondazione. Nato nel 1947 in una famiglia di pastori della Sardegna centrale, a undici anni Casula dovette lasciare gli studi e occuparsi del gregge per aiutare a mantenere la famiglia. L’unica scuola che i suoi genitori potevano permettersi era un seminario gesuita. Quando Casula disse che non aveva la vocazione da sacerdote e che quindi non avrebbe potuto completare gli studi, il direttore del seminario gli suggerì di fare domanda per entrare a Villa Nazareth. Anni dopo, frugando negli archivi del collegio, Casula ha trovato la lettera di raccomandazione che il sacerdote aveva scritto per lui e di cui non gli aveva mai parlato.

All’epoca Villa Nazareth non era un collegio universitario. Offriva invece una scuola elementare, una media e un liceo destinati agli orfani della guerra e ai figli di famiglie indigenti. «Ma non era un orfanotrofio – dice Casula – si studiava seriamente, si faceva attività musicale e teatrale e un gruppo di suore americane insegnava inglese ai ragazzi». In altre parole, il collegio forniva agli orfani la migliore educazione che una famiglia borghese potesse sperare per i suoi figli.

Nel 1961, dopo la morte del fondatore, al vertice di Villa Nazareth gli succedette Antonio Samorè, un diplomatico che Tardini aveva allevato nei suoi anni trascorsi alla segreteria di Stato. Tardini non era particolarmente progressista, ma Samoré era un vero e proprio conservatore. Quando nel pieno della contestazione degli anni Sessanta un giornalista gli domandò se credeva ancora che i cosacchi sarebbero presto arrivati ad abbeverare i loro cavalli nella fontana di San Pietro, uno slogan anticomunista comune nella propaganda cattolica di vent’anni prima, Samorè rispose amaramente: «È da tempo che se la sono bevuta tutta».

Il secondo fondatore

Nel frattempo il ‘68 era arrivato anche a Villa Nazareth e il collegio non rimase immune dal clima rivoluzionario di quegli anni. Tra gli studenti e la nuova guida della scuola scoppiarono conflitti. Casula lasciò il collegio nel 1968, seguito dalla professoressa Angela Groppelli e da Achile Silvestrini, che all’epoca era all’inizio della sua brillante carriera. Villa Nazareth venne chiusa l’anno dopo, ma sotto la guida di Silvestrini, della professoressa Groppelli, di Casula e di altri ex studenti, l’esperienza di vita comunitaria proseguì in una serie di appartamenti autogestiti. «La nostra idea era di provare a prendere noi qualche ragazzo, riprendere il filo dove era stato troncato», dice oggi Casula.

Questa esperienza è proseguita fino al 1983, quando Samorè è morto e ha lasciato in eredità gli edifici di Villa Nazareth, oramai in profondo degrado, a una fondazione di cui Silvestrini, nel frattempo diventato arcivescovo, è stato nominato curatore. Villa Nazareth ha riaperto, come collegio universitario per studenti di ambo i sessi.

Silvestrini è stato l’anima e il cervello della seconda vita di Villa Nazareth e la figura che ne ha più influenzato lo spirito. Nato nel 1923 a Brisighella, un piccolo comune in provincia di Ravenna che ha dato i natali ad altri quattro cardinali, Silvestrini fece una brillante carriera nella curia, il governo del Vaticano, e in particolare nella più elitaria delle sue articolazioni: il servizio diplomatico, fino a diventarne il capo. «Silvestrini è stato forse l’ultimo grande curiale nel senso tradizionale del termine», dice Gian Maria Vian, per undici anni direttore dell’Osservatore Romano e docente di filologia patristica all’università La Sapienza.

Oltre che un grande diplomatico, impegnato in particolare nel ricucire i rapporti con i regimi comunisti dell’Europa dell’est, Silvestrini era anche un uomo di cultura e di vasti interessi e non disdegnava i rapporti con esponenti del cinema e dell’arte.

«Le sue relazioni erano molto estese, attirava con il suo carattere umano e affascinante», ricorda Vian. Ma era anche una figura con idee politiche precise, un progressista che pensava che la chiesa dovesse aprirsi alla società e abbandonare le sue eccessive rigidezze. I suoi critici lo avevano ribattezzato “il cardinale rosso”.

È stato lui a dare al collegio l’impronta informale e secolare che porta ancora. Casula ricorda che quando papa Giovanni Paolo II ha visitato il collegio, lui e altri studenti dissero a Silvestrini che non avevano intenzione di inginocchiarsi per baciargli l’anello. «Fate come volete – gli rispose brusco il cardinale – a me importa solo che vi inginocchiate se rischiate di impallargli l’inquadratura». Di idee progressiste, Silvestrini ha coinvolto nell’attività della scuola altri prelati che come lui provenivano dall’ambiente diplomatico, come il suo successore, l’arcivescovo Celli, l’attuale segretario di Stato, Pietro Parolin, e l’osservatore permanente alle Nazioni unite, Gabriele Giordano Caccia.

Ma quello che forse colpisce ancora di più è stata la capacità di Silvestrini e di Celli dopo di lui, di portare a Villa Nazareth e far incontrare agli studenti, durante le famose “cene informali”, un elenco di ospiti che farebbe invidia al forum di Cernobbio. Una breve e incompleta lista dei personaggi passati per questi convivi suona impressionante per un’istituzione così piccola e poco conosciuta e include Francesco Cossiga, Giulio Andreotti, Federico Fellini, Vittorio Gassman, Roberto Benigni, Mario Draghi, Nanni Moretti ed Enrico Letta.

Si tratta di incontri che si svolgono ancora oggi in un clima colloquiale. Carlo Luison, un ex studente oggi manager in una società che si occupa di sostenibilità, ne ricorda uno finito in maniera abbastanza burrascosa con il cantante Antonello Venditti. Luison, che è uscito dal collegio vent’anni fa, è invece più scettico su un altro degli aspetti di Villa Nazareth di cui hanno parlato i giornali: quello di essere un gruppo in grado di spingere i suoi membri in posizioni di responsabilità. «In realtà non esiste nemmeno una vera e propria associazione di ex studenti, Villa Nazareth non ha mai favorito la creazione di un network», dice quasi a malincuore. «Penso sia stata una scelta per non favorire la creazione di club e associazioni».

Un’altra ragione è che mantenere un’associazione di ex studenti richiede tempo e denaro, due risorse che a Villa Nazareth non sono mai state abbondanti. Non è facile far quadrare i conti del collegio con i finanziamenti del ministero che si riducono ogni anno e un bilancio che, tutto compreso, si aggira intorno a un milione di euro l’anno. L’intera amministrazione è nelle mani di Pennatini e di un altro ex alunno. La contabilità viene fatta da un dipendente part time. Oltre a qualche tuttofare e qualche addetto alle pulizie, Villa Nazareth non ha altro personale. «È una situazione affascinante da un certo punto di vista perché significa che ci dobbiamo occupare di tutto: dalle lavatrici che si rompono ai rapporti col ministero», dice Pennatini. Dopo averci pensato un po’ aggiunge: «È un po’ un paradosso: intorno a noi girano tanti nomi importanti, ma noi abbiamo un basso profilo. Sembra strano ma è così, non so se non sappiamo sfruttarlo o è un po’ una scelta».

L’arcivescovo

Ma cos’è quindi, Villa Nazareth? Una “Oxford dei cattolici" impegnata in un progetto politico a lunga scadenza, o un piccolo collegio con una storia più illustre delle risorse che ha a disposizione? Il cardinal Silvestrini è morto nell’agosto del 2019 e non può più rispondere a questa domanda. Così, un anno dopo siamo andati ad Arabba, nel mezzo delle Dolomiti, per farla al suo successore, l'arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del collegio e, secondo molti, la mente organizzativa dietro il partito cattolico che si starebbe radunando dietro Conte.

Incontriamo Celli nella sala da pranzo di un modesto albergo con vista sul Sasso Pordoi. Intorno a lui ci sono una quarantina di studenti della Villa, impegnati in un seminario estivo dal titolo “L’uomo e lo spazio”, con lezioni tenute da professori di fisica e scienziati dell’Agenzia spaziale europea. 

Celli è un uomo imponente. Quando era inviato speciale di papa Francesco in Venezuela era uno dei pochi che negli incontri formali riusciva a guardare dritto negli occhi il presidente Nicolás Maduro. Oggi, al posto dell’abito talare per le occasioni formali, indossa un semplice clergyman e un paio di vecchi pantaloni di velluto a coste sorretti da bretelle.

Prima del pranzo, Celli si alza in piedi lentamente e dopo aver attirato l’attenzione dei presenti con due leggeri colpi di cucchiaio su un bicchiere ferma con un gesto bonario i commensali che stanno per imitarlo. «Stiamo pure seduti tranquillamente», dice. Nel silenzio sceso sulla sala abbassa la sua testa rotonda senza capelli e inizia a recitare: «Nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo». Non tutti i presenti si segnano. Gargiulo, l'ex alunno che oggi accompagna gli studenti come tutor, è tra loro. 

Terminata la preghiera, Celli inizia a chiacchierare con i modi familiari di un prelato avvezzo alle cose di mondo. «La nostra missione è la ricerca e la promozione del talento», dice mentre racconta lo scopo e la missione di Villa Nazareth. Un cameriere lo chiama “eccellenza” mentre gli porge un piatto di pasta al pomodoro. Gli studenti invece lo chiamano “Don Claudio” e gli danno del tu.

«Il bello di questa "casa" - prosegue l'arcivescovo – è che ciascuno si sente rispettato nelle proprie posizioni e sensibilità culturali. Questa casa ha una sua proposta valoriale, ma è una proposta. La persona può accoglierla, accoglierla parzialmente o rifiutarla. Questo è il grande merito del cardinal Silvestrini».

Passiamo poi a parlare della sua carriera. Come il suo maestro Silvestrini, anche Celli è un diplomatico di lungo corso e per gli ultimi tre papi ha seguito alcuni delle più spinose questioni di politica internazionale. Esperto in particolare di estremo oriente, Celli ama ricordare i suoi viaggi in Vietnam, dove ha riallacciato i rapporti con la comunità cattolica locale che per decenni il regime comunista aveva tenuto separato dal resto della chiesa. 

«Ricordo la mia prima messa nella cattedrale di Hanoi – racconta - il governo non ci aveva permesso di avvisare per tempo i fedeli, poiché non voleva che si presentasse troppa gente. Ma quando ho raggiunto l’altare la chiesa si era riempita grazie al passaparola. Non si sarebbe potuto far cadere uno spillo in terra tanta era la gente».

Celli è un progressista con un buon rapporto con papa Francesco, che gli ha affidato la gestione del complicato accordo con il governo cinese. Ma è anche un moderato. Quando gli chiediamo cosa pensi del ruolo di conservatori e tradizionalisti all'interno della chiesa, risponde che è bene che sia chi porta avanti queste posizioni. «La chiesa cattolica è grande ed è giusto che includa anche chi ha queste idee», spiega.

Quando torniamo a parlare di Villa Nazareth, Celli lascia intendere di non aver gradito troppo la pubblicità che la scuola ha ricevuto dopo la nomina di Conte. «Non ci piace essere troppo alla ribalta», dice. Ma non nasconde una punta di vanità nel confermare di conoscere bene il presidente del Consiglio. Come quasi tutti a Villa Nazareth, Celli sembra trovarsi più a suo agio con il secondo governo Conte e la coalizione di centrosinistra, piuttosto che con il precedente insieme alla Lega.

Sul futuro, non ha dubbi e respinge come fantasiose le ipotesi che lo vedono come il manovratore dietro la nascita di un nuovo partito cattolico guidato da Conte. «Non credo in un partito confessionale», dice reciso.

Il “partito dei cattolici”

Tranne un ex studente che lavora allo Ior, la banca del Vaticano, nessun altro alunno di Villa Nazareth è entrato nel servizio ecclesiastico. Non si contano nemmeno ex studenti impegnati in politica o diventati grandi manager pubblici. Ci sono invece moltissimi medici, professori di liceo, docenti universitari e manager, come Luison, spesso impegnati in progetti legati alla sostenibilità o al bene comune.

Quella di Giuseppe Conte appare più un’eccezione che una regola nei profili di chi è passato per la Villa. Questo non toglie che Conte abbia saputo sfruttare abilmente questa sua eccezionalità. Gargiulo e altri studenti ed ex non ricordano una presenza particolare di Conte all’interno del collegio.

Ma Conte era presente quando serviva. Ad esempio, era nella Villa nel 2016, quando papa Francesco ha fatto la sua prima visita al collegio. Ed è sempre stato attento a mantenere buoni rapporti con gli ecclesiastici che l’hanno guidata. Silvestrini e Celli erano tra gli ospiti d’onore del suo matrimonio.

Il professor Vian è tra quelli che dubitano che Conte abbia un rapporto con il Vaticano particolarmente inusuale per un presidente del Consiglio. Sottolinea ad esempio di non aver mai sentito fare il suo nome prima che venisse nominato al governo. Ma a proposito del suo rapporto con Villa Nazareth aggiunge cautamente: «Può darsi che sia una carta che si è giocato in maniera avveduta».

Se per alcuni Villa Nazareth è stata un trampolino con cui stringere amicizie e alleanze in Vaticano, questo gruppo sembra una minoranza tra le centinaia di studenti passati per il collegio. Secondo Gargiulo, Villa Nazareth è soprattutto una comunità che dà l’opportunità di riscattarsi a ragazzi che partono da condizioni svantaggiate.

Dice che nulla gli dà più soddisfazione che portare un ragazzo con un passato problematico a integrarsi, a compiere un percorso di studi di successo e poi a diventare un professionista, animato da quello spirito umano e solidale che, dice, pervade l’insegnamento del collegio. Quando accade, e accade spesso, dice: «Ti senti ripagato anche per tutte quelle volte in cui vorresti solo staccare, invece vai a una riunione che finisce a mezzanotte».

Oggi, Conte è guardato con favore da una parte del mondo cattolico e questa relazione è stata probabilmente resa più facile dagli anni trascorsi a Villa Nazareth. Ma il futuro di questo rapporto, la sua natura e conseguenze, sembrano ormai avere poco a che fare con quelli del collegio.

 

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