Il governo registra una mezza vittoria in Europa con l’accordo sull’immigrazione. Giorgia Meloni pareva essere in un vicolo cieco dopo aver bocciato la prima bozza europea dell’accordo sull’immigrazione per l’eccessiva protezione che questo garantiva alle Ong.

Quel riferimento è stato cancellato nella seconda versione, la Germania ha ceduto alle pressioni italiane, e l’accordo è passato nonostante la contrarietà di Polonia e Ungheria. L’accordo saprà risolvere la crisi migratoria? Difficile fare previsioni e per questo la vittoria resta a metà, ma sul piano diplomatico Giorgia Meloni ha dato prova di concretezza e prudenza.

La presidente del Consiglio ha negoziato con pazienza con le altre grandi nazioni europee e ha rotto l’alleanza con i sovranisti dell’est Europa sull’immigrazione. Sulla carta l’Italia ha strappato un buon accordo che si pone a metà tra la linea della fermezza propugnata dalla maggioranza e la ricerca di una soluzione europea, integrata con la volontà degli altri Stati membri. Una vicenda utile per inquadrare meglio anche il profilo politico di Giorgia Meloni.

Non siamo di fronte al prototipo del politico populista, incendiario e sovraesposto a livello mediatico, ma ad una leader esperta che ha imparato a dosare il rapporto tra esigenze di governo e consenso di popolo. Meloni, in altre parole, non è Salvini e questo le dà una forza maggiore. Il presidente del consiglio non straparla, sa inabissarsi e soprattutto è disposta alla negoziazione e al compromesso.

Una capacità trasformistica

C’è nello stile di Meloni una capacità, senza dubbio trasformistica, che le ha reso possibile per ora trasformare le promesse mancate della campagna elettorale in una politica governativa realista è accettabile per l’establishment italiano e per le istituzioni europee. I sondaggi danno ragione alla maggioranza che nelle ultime rilevazioni ottiene numeri in linea con i risultati elettorali dello scorso anno, mentre l’opposizione è divisa e non riesce ad intaccare l’elettorato della destra. Ciò naturalmente non significa che il governo sia al riparo da rischi e problemi.

Costo del debito, recessione, ritardi del Pnrr incombono sull’esecutivo che però può continuare ad andare avanti fino a che non esistono alternative politiche. Meloni potrà affrontare queste difficoltà dando un segnale diplomatico ai mercati e all’Unione Europea.

Ai primi con una politica fiscale assennata, dismettendo la retorica complottista e ponendosi come unica garante della stabilità politica italiana, mentre alla seconda attraverso il tentativo di far parte della prossima maggioranza che governerà a Bruxelles. La trattativa sull’immigrazione è un ramoscello di ulivo ai popolari, segno colto dalla Von der Leyen che protegge Meloni, perché risponde alla richiesta di questi di rottura con Polonia e Ungheria.

È un segnale che, se le elezioni europee andranno in un certo modo, Fratelli d’Italia sarà pronta a fare la sua parte per trovare una maggioranza europea insieme ai popolari e ai liberali. Proprio per questo motivo oggi la principale insidia Meloni ce l’ha in casa e si chiama Matteo Salvini.

Il leader leghista non scommette sulla trattativa e sull’accordo al centro, ma sul suo fallimento. Egli ha fiutato il potenziale successo elettorale di AfD in Germania e Fn in Francia, punta tutto sulla crescita della destra più estrema per mettere pressione su popolari e conservatori al fine di separarli o radicalizzarli. Se la Lega andasse bene alle europee e i suoi alleati ottenessero un exploit il peso di Salvini e la sua capacità di condizionamento del governo crescerebbero. A quel punto per Meloni si aprirebbe il dilemma: strappare in casa oppure fuori? Perché scegliere strade diverse in Europa può aprire aspri attriti nella maggioranza in Italia.

 

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