Il ritorno alla politica bipolare, con un sano e fisiologico confronto tra destra e sinistra, è inciampato alla prima prova.

Al Senato, nella migliore tradizione italica delle imboscate e dei trabocchetti, sono affiorati, ma non a sufficienza per renderli visibili, dei novelli responsabili, andati in soccorso al vincitore.

Dopo i 101 di Prodi ora abbiamo i 17 di La Russa, con la differenza che i primi affondarono il professore e questi invece hanno innalzato al secondo scranno della repubblica il pizzetto più noto del parlamento. 

Nessuno rivendica la manina giunta a sorreggere la coalizione di destra, ma qualche ipotesi si può avanzare. Cui prodest, intanto.

Certo al duo forte di questo governo, Meloni-Salvini. Se volevano indebolire il Cavaliere e seminare lo sconcerto tra le file forziste, il colpo è ben assestato. Il declino politico di Berlusconi ha trovato qui la sua sanzione finale.

Perché la crisi di FI va ben al di là dei suoi voti: nasce da un vuoto di politica, di proposta e di forza propulsiva. Chi pensava che Forza Italia avrebbe avuto un ruolo maieutico o almeno di freno alle pulsioni più radicali dei fratello-leghisti si deve ricredere.

La solidità dell’asse tra i leader di FdI e della Lega è stata poi cementata dal voto per il presidente della Camera, il leghista Lorenzo Fontana, cui profilo proto secessionista e iper conservatore non lascia dubbi sulla direzione di marcia di questo governo. 

Eppure in Senato poteva andare in scena un altro film se non fosse arrivato il soccorso rosso, o rosa. Di fronte all’impasse delle forze governativa ci sarebbe stato spazio per una candidatura di mediazione: e qui entrava in gioco Pier Ferdinando Casini, la cui storia personale e biografia politica lo rendeva “ricevibile” anche a destra.

Sarebbe stato un successo per il Pd, e per il suo segretario. Chi aborriva questa ipotesi?  Chi avrebbe fatto di tutto pur di non rafforzare politicamente Letta? E questo è il secondo cui prodest.

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