Caro direttore, non torno sui temi riguardanti la giustizia, sui quali mi sono già ampiamente espresso. Mi hanno colpito, tuttavia, alcune argomentazioni emerse nel dibattito pubblico che essi hanno suscitato.

Ma come? Tu che sei stato uno tra i maggiori sostenitori dell’alleanza tra il Pd e il Movimento Cinque stelle, ora ti esprimi con una tale nettezza circa le garanzie per gli imputati? Non è una contraddizione?

Premetto che sulla giustizia da tanto tempo ho espresso le mie opinioni e dichiarato la mia distanza, grande distanza, da quelle del Movimento. Chi è interessato può leggere l'intervento di quasi un anno fa che ho svolto alle camere penali.

So bene che il parlamento ha istruito sulla materia un lavoro eccellente. Il testo della ministra della Giustizia Marta Cartabia, e la possibile approvazione dei tanti emendamenti in campo, faranno fare un passo in avanti decisivo verso una giustizia “giusta”. Il merito va anche al Pd e all'ispirazione innovatrice che guidò il ministro Orlando. In particolare alle donne del Pd: tra le quali Anna Rossomando e Monica Cirinnà.

Ma al di là di questi importanti risultati, la sinistra ha bisogno di una sua ricollocazione ideale e valoriale circa questi temi decisivi per la Repubblica.

Dopo il cappio

Questo ho voluto dire con il mio intervento dell'altroieri. Mi preoccupa assai che la destra italiana vada “di piatto” su ogni argomento: gli immigrati, il fisco, le riaperture e oggi, del tutto pelosamente, la giustizia, dopo aver incitato a buttare la chiave delle celle e aver esposto il cappio nelle aule parlamentari. Mentre noi nel passato ci siamo fatti carico di compromessi necessari ma difficilmente comunicabili e scarsamente empatici.

Ho voluto sollevare questioni basilari; riferite all'esigenza di una nostra intransigenza umanistica. Che sul versante sociale, nella storia, ha visto protagonista il socialismo e sul versante ideale e culturale l'altissimo pensiero di Moro e il personalismo di Maritain e Mounier.

Il referendum è ritenuto uno strumento sbagliato per affrontarle? Comprendo le opinioni diverse. Le rispetto. E vi rifletto.

Dispiace, tuttavia che, anche da una parte del mio partito, non sia stata colta questa sollecitazione ad andare molto al di là di un passaggio contingente, seppur essenziale, delicato e impegnativo.

L’identità del Pd

In questi mesi di grande lavoro, il segretario Enrico Letta ha spronato a costruire una più chiara identità del Pd. Ma, se l’identità non è una ricerca astratta e autoconsolatoria, deve essere una visione del mondo che attraversa la storia, i sentimenti, la cultura della Nazione.

E che cos'è una visione del mondo, se non include i principi di massimo rispetto e di garanzia per tutti gli esseri umani?

E come si può penetrare il tema della giustizia, se viene affrontato esclusivamente in un combattimento sulle regole e sui codici?

C’è una zona misteriosa nell’esercizio del potere giudiziario. E davvero chi lo pratica con equilibrio (sono tanti in Italia) ha uno dei compiti più difficili che si possano assegnare ad una responsabilità individuale.

Ho rivisto più volte, in una mi capitò di farlo accanto a Pietro Ingrao, lo splendido film di Chaplin Monsignor Verdoux. La parte finale quando il protagonista viene condotto alla morte tra due guardie che incombono, nel suo discorso paradossale, svela, tuttavia, l’assurdità della situazione in cui si trova.

Si lamenta del fatto che egli è colpevole solo di aver ucciso qualche donna, e per questo va alla morte, ma osserva che le mani di coloro che lo hanno condannato sono sporche di sangue; di milioni di esseri umani mandati alla guerra, non curati dalle loro malattie, affamati fino a spegnersi.

Ripeto: un discorso paradossale. Che segnala, però, lo squilibrio di forza tra il colpevole che paga e colui che lo giudica: la cui legittimità è sempre difficilmente misurabile.

Per questo la pena non deve essere mai capitale; non solo perché si può sbagliare nel sentenziare la colpevolezza, ma anche perché giudicare il prossimo da parte di un essere umano, rimanda sempre ad una difficile misurazione della moralità dell’animo di chi decide.

A parte queste considerazioni, va affrontato un ragionamento politico basico che risponde alle mie presunte contraddizioni.

Il rapporto con i Cinque stelle 

30/12/2020 Roma, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte durante la conferenza stampa di fine anno organizzata dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti in collaborazione con l’Associazione della Stampa Parlamentare.

Il rapporto con il Movimento cinque stelle l’ho sempre considerato difficile e conflittuale. Ma assolutamente necessario per dividere il populismo e dare vita a un governo alternativo alla destra.

Non c’è una mia parola che possa dimostrare che abbia inteso tale rapporto come un sodalizio organico, strutturale, matrimoniale, di reciproca confluenza o altro ancora.

Sono concetti che mi hanno attribuito coloro che in realtà volevano logorare e far cadere il governo Conte. Questo non l'ho mai accettato: quando si decide di assumere insieme le redini di un grande Paese, occorre considerare gli alleati come interlocutori e non come nemici.

Occorre rinsaldare i rapporti politici (a questo mi sono sempre riferito) per il bene comune. Per costruire un programma di governo credibile e unitario. Per evitare distinguo inutili ed egoismi di partito.

Tanto più di fronte a un governo, il Conte II, che stava facendo bene all’Italia, ottenendo risultati importanti. Mentre cambiavano su tante questioni le posizioni del M5s e noi stessi riflettevamo sui nostri limiti e chiusure.

Ma se la politica rinuncia a influenzare l’altro, a aprirsi all’altro, a rispettare l’altro, a camminare insieme all’altro, cosa rimane oltre agli interessi personali e ai giochi di potere?

Oggi certamente, dopo che Conte è stato fatto cadere, la situazione è totalmente cambiata. Letta sta tentando di costruire una nuova prospettiva al Partito democratico. Fin dall’inizio ho espresso la mia fiducia. Il Movimento sarà diretto, spero il prima possibile, da Giuseppe Conte. Una persona perbene, un democratico, colto, equilibrato e ragionevole.

Ognuno è alle prese con un suo nuovo percorso. Meno vincolato da un obbligo pressante di governo; che oggi aggrega quasi tutti i partiti e prevede una responsabilità molto maggiore da parte di chi lo guida. Mario Draghi: che nella fase di emergenza che gli compete sta svolgendo un grandissimo lavoro per le buone sorti del nostro avvenire.

È dunque il momento, tra noi e i Cinque stelle, della franchezza sulle cose che ancora ci dividono e per l'impegno di nuovi possibili decisivi incontri. Ai quali credo. Si è detto: ci ritroveremo insieme alle politiche del 2023. Ma già da oggi servono atti concreti: alle prossime elezioni amministrative, dove allo stato attuale nelle grandi città l'intesa è troppo precaria, e nel dibattito sui temi essenziali per la democrazia. Come la giustizia.

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