No, giurano al Pd, non si tratta della tradizionale posizione contraria ai referendum che il partito ha inciso nel Dna causa una sentenza di Luigi Longo in cui definiva «iattura» il referendum sul divorzio. E però la linea dem è anche stavolta è no: no ai sei referendum sulla giustizia depositati ieri alla Cassazione dalla strana coppia Salvini-Turco. Strana per il primo, non per i radicali che da sempre si alleano anche con il diavolo pur di portare a casa il risultato; e oggi Maurizio Turco, segretario del Partito Radicale, dice: «È dal 1969 che chiediamo una giustizia giusta. Ringraziamo quindi Matteo Salvini e la Lega perché ci aiuta a combattere questa battaglia». Le firme cominceranno ad essere raccolte dal 2 luglio.

Per questo ieri il malumore del giorno di Enrico Letta, fra una polpetta avvelenata proveniente dalle primarie calabresi e un attacco di Br nel senso di corrente Base riformista, era a causa del «sì» di Goffredo Bettini, sebbene «scelta personale che non impegna altro che me stesso», consegnato al quotidiano Il Foglio. Il ragionamento di Bettini è di merito sui quesiti. Ma anche molto politico: i referendum potranno spingere le riforme, e non è «giusto che questo tema sia un po’ pelosamente impugnato solo da quella destra populista, come la Lega, che amava esibire il cappio nelle aule parlamentari».

Non si può dire che Bettini abbia convinto Letta, impegnato a liberare il Pd dalla morsa del giustizialismo grillino ma a patto che venga disinnescata la guerra santa fra manettari e «garantisti a corrente alterna» che in segretaria hanno deciso di definire «impunitisti». Il no ai referendum è ragionato, come il rischio di Mario Draghi. Letta crede nelle riforme: «Sosteniamo la ministra Cartabia con grande forza. Nei prossimi giorni la incontrerò. Prendo l’impegno, nel Pd siamo tutti d'accordo su questa linea e siamo tutti pronti a farlo, invito Draghi e la ministra Cartabia ad essere molto determinati, perché questo momento si può fare un grande cambiamento. Se non ora quando le riforme della giustizia?». Anna Rossomando, avvocata penalista, responsabile giustizia e vicepresidente del Senato, spiega: «Se ci vogliamo confrontare sul garantismo, bene. Ma parlare di referendum ora con le riforme in commissione è un atto di sfiducia nei confronti del parlamento e di delegittimazione dell’azione del governo». Per Rossomando «sulla giustizia il parlamento arriverà prima dei referendum a cui Salvini si è accodato. Le nostre sono tutte proposte nette e radicali», dai tempi certi e ragionevoli del processo, alla prescrizione, al potenziamento della giustizia riparativa, al rinvio a giudizio solo in presenza di una ragionevole certezza di ottenere una condanna. Poi c’è il Csm: «Stop alle nomine a pacchetto, modularità nell’elezione dei componenti del plenum in modo che non siano eletti tutti contestualmente e un meccanismo che preveda la parità di genere. Tra i vari elementi di valutazione sulla professionalità proponiamo quello della verifica delle smentite processuali delle ipotesi accusatorie, e lo stop alla spettacolarizzazione delle inchieste con una comunicazione basata su comunicati stampa ufficiali». Ieri scadevano i termini per gli emendamenti su questa riforma. «Noi crediamo nel governo Draghi invece i referendum sulla giustizia di fatto delegittimano lo stesso Metodo Cartabia», spiega Walter Verini, ex responsabile della giustizia del Pd, «un percorso di riforme è difficile ma oggi per la prima volta praticabile. E comunque doveroso, sul penale, sulla giustizia civile, e sul Csm, per modernizzare l’Italia, altrimenti rischiano anche di saltare i finanziamenti europei. Dire che “tanto il parlamento non ce la fa” è un errore politico e una spinta a non fare le riforme, altro che a farle. E anziché isolare gli ‘opposti estremismi’, fra giustizialisti e impunitisti, rischia di provocare nuove spaccature e perpetuare la guerra dei trent’anni». 

E invece nel Pd l’idea di non lasciare a Salvini la propaganda ai banchetti – ammesso che la Lega li faccia davvero – o meglio di smentire il segretario, fa già proseliti. Sicuramente il senatore Andrea Marcucci: «Vediamo i tempi ed i nodi della riforma parlamentare. In ogni modo, i referendum può essere certamente uno strumento molto utili». Fuori dal Pd, ma sullo stesso asse, presto arriveranno notizie da Italia viva: «Ci stiamo ragionando», ammette Lucia Annibali, responsabile giustizia, «il vero atto di coraggio sarebbe far lavorare il parlamento. Il rischio è che i referendum siano un’arma per distrarre dalle riforme. Ma poi bisogna anche vedere queste riforme in che direzione vanno».

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