Cento giorni. Tempo di bilanci, non solo politici, ma anche dello stile e delle caratteristiche della leadership di Giorgia Meloni. Un’“aliena” inaspettatamente catapultata a palazzo Chigi dalle debolezze dei suoi alleati e dall’insipienza dei suoi avversari.

Un periodo forse troppo breve per il calendario della politica, ma sufficiente per definire il carattere e la personalità comunicativa della leader, marcando una netta distanza dai più recenti predecessori.

I predecessori

La iperpersonalizzata e mediatizzata leadership di Giuseppe Conte, gestita – complice anche l’emergenza Covid – a colpi di accorati monologhi notturni alla nazione, trasmessi anche sul proprio account Facebook, e di conferenze stampa blindate sotto la regia del cerimoniere Rocco Casalino, che tanti mugugni hanno sollevato nella stampa sentitasi scavalcata.

Seguita dalla morigeratezza e dall’understatement comunicativo di Mario Draghi che, grazie a un alto consenso diffuso anche nel sistema dell’informazione, non ha mai ritenuto necessario varcare la soglia di un talk show, inviare un post o cinguettare un tweet. Concedendosi nelle essenziali conferenze stampa il lusso di qualche commento a margine, sottolineatura a mezza bocca, lasciati all’interpretazione dei giornalisti.

Popolare e popolana

Nei primi 100 giorni della sua presidenza Giorgia Meloni ha da un lato mostrato l’ambizione di alimentare e rafforzare la sua immagine di moderna leader social, capace di parlare in maniera diretta e informale con gli elettori, attraverso il vasto repertorio di strumenti e formati a disposizione della politica digitale.

Alternando tweet di auguri, post di buon compleanno, immagini di vita personale e familiare, il cordoglio per la scomparsa di Sinisa Mihajlovic e Gianluca Vialli, a commenti più politici e, soprattutto, alla periodica condivisione della sua personale agenda degli appunti, al momento la più marcata originalità comunicativa.

Una leader popolare, volutamente popolana in certi aspetti, che non si fa contaminare dal palazzo. Dall’altro si è rivelata una leader molto antica, vittima della storica ossessione della politica italiana per la televisione. Una presidente del Consiglio soggetta a una elevata ansia celebrativa e comunicativa, mossa dalla volontà (o necessità) di esporsi in prima persona, intervenendo ripetutamente nei momenti cruciali di questi primi 100 giorni, sempre, si badi bene, in contesti totalmente favorevoli e amicali.

Le due contemporanee interviste alle edizioni serali dei più importanti telegiornali italiani l’11 gennaio per rimediare alle polemiche seguite al mantenimento delle accise sul carburante; il collegamento con Quarta Repubblica di Nicola Porro per celebrare l’arresto di Matteo Messina Denaro il 16 gennaio, giorno stesso del suo arresto, saldando la lotta dello stato alla mafia con la sua biografia personale. E ancora, il 1° febbraio, l’incursione telefonica in diretta al programma Stasera Italia condotto da Barbara Palombelli per ribadire la posizione del governo sulla detenzione dell’anarchico Alfredo Cospito al 41 bis, peraltro ben nota, sorvolando completamente sulla polemica del giorno sull’intervento del parlamentare Giovanni Donzelli alla Camera.

Una modalità che ha ovviamente ricordato Silvio Berlusconi. Una serie di episodi un po’ troppo lunga se si considera che stiamo parlando dei primi 100 giorni. E che trasmette l’immagine di una leader sola, che si fida unicamente di sé stessa e in difficoltà, conclusa dall’ultimo incontro negli uffici e nelle stanze di palazzo Chigi con Paolo Del Debbio trasmesso da Diritto e rovescio il 2 febbraio.

Quasi 35 minuti, segnati dal tono conviviale e salottiero, dai reciproci scambi di auguri e complimenti – i cento giorni di Meloni ma, attenzione, anche il genetliaco del giornalista rivelato a “sorpresa” dalla premier, sicuramente il colpo giornalistico più rilevante di tutta l’intervista – dal clima da “gita a palazzo” con la presidente che fa da cicerone degli ambienti appena rinfrescati e ritinteggiati, conferendo così un tono meno cupo e più solare alle stanze e, come fra conoscenti di vecchia data, ci si saluta parlando della famiglia e dagli affetti.

Nel lontanissimo 1963, le telecamere di TV7, hanno violato la riservatezza degli uffici e dell’appartamento, al Quirinale, del neoletto presidente della Repubblica Antonio Segni.

Quarant’anni dopo quell’episodio, sarà il programma Telecamere, condotto da Anna La Rosa, ad annunciare l’esclusiva intervista di Berlusconi nel suo appartamento privato romano.

Ma nel frattempo molto era cambiato e la commistione fra privato e politica, informazione e intrattenimento, giornalismo e salotto, erano oramai conclamati e non facevano più presa. Figuriamoci oggi.

Nel crogiolo identitario dell’estrema destra italiana si fondono il culto della fedeltà e dell’onore, l’orrore per il tradimento, il mito del gruppo e dello scontro, l’ossessione per ogni forma di commistione, incontro, confluenza. È la stessa pozione di cui si è a lungo nutrita Giorgia Meloni che, uscita dal ghetto culturale del post fascismo e diventata presidente del Consiglio, anche per quanto riguarda la comunicazione, è chiamata a scegliere fra apertura e chiusura, fra amici e nemici, fra occupazione e influenza, fra informazione e propaganda. In ultima analisi, fra modernità e passato.

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