Non importa quante contromisure si prendano, l’approvazione della legge di Bilancio è sempre una via crucis e così sarà anche per il governo Meloni. Il pasticcio delle bozze fatte girare (come del resto sempre è) da ambienti ministeriali e poi trattate come patacche da Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti potrebbe essere stato un modo per testare le acque su modifiche controverse e anche questa è consueta tecnica politica.

La misurazione della temperatura all’interno dell’esecutivo, però, si è rivelata ben più incandescente di quanto la premier si aspettasse. Per quanto anche ieri dall’Eurosummit di Bruxelles si sia esercitata a definire «inventati» i retroscena sull’instabilità della sua maggioranza, i fatti parlano di un Matteo Salvini pronto alle barricate contro la riforma peggiorativa delle pensioni e di Forza Italia altrettanto scontenta. L’effetto, però, è anche quello di svelare una possibile mossa dei suoi alleati: nascondersi dietro gli emendamenti delle opposizioni per ottenere modifiche alla finanziaria.

Il mandato del duo Meloni-Giorgetti, ormai percepito sempre meno leghista e sempre più braccio tecnico della premier, è infatti di procedere sul testo senza emendamenti in parlamento da parte della maggioranza. Dunque l’obiettivo di Salvini è quello di mettere pressione sufficiente a far modificare il testo prima che arrivi in aula, facendo leva sulle opposizioni. O meglio, una in particolare.

I Cinque stelle

Un’inquietudine, infatti, serpeggia soprattutto tra le file di Fratelli d’Italia: che la Lega possa sfruttare l’antico legame con il Movimento 5 Stelle, alleato spurio durante il governo Conte 1.

L’operazione viene smentita in casa Lega, ma anche il Partito democratico da tempo ha notato un singolare effetto: i grillini si scagliano contro il governo e contro la Lega con parole di fuoco, ma alla fine nelle partite di nomina in quota opposizione trovano sempre spazi e accordi. Segno che un canale pur flebile è rimasto e il Movimento ha saputo sfruttarlo meglio del Pd, nonostante il governo Meloni sia decisamente poco disponibile a concedere gli spazi storicamente riservati alle minoranze.

Del resto, a metà giornata, è stato proprio il capogruppo del Movimento 5 Stelle al Senato, Stefano Patuanelli, a confermare che movimenti in maggioranza direzione opposizione sono in atto. E fa anche di più, confermando che i Cinque stelle sono più che disponibili a «dare asilo politico agli emendamenti di maggioranza», confermando che già ci sono colleghi dell’altra sponda di palazzo Madama che «stanno sondando questa possibilità».

Che abboccamenti siano in corso viene confermato da diverse parti, con reciproco giovamento tra Movimento e Lega e conseguenti grattacapi invece per Fratelli d’Italia. Il partito di maggioranza relativa, infatti, ha dato segni di mal tollerare il doppio gioco di Salvini, che da una parte ha detto di condividere la politica degli zero emendamenti di maggioranza alla manovra, dall’altra avrebbe dato mandato ai suoi di lavorare per cercare sponde in minoranza.

Tra le incertezze se il testo della legge di Bilancio sia ancora aperto o definitivamente chiuso – in giornata Salvini e Tajani si sono contraddetti a vicenda – quindi l’unica certezza è che Meloni lo vedrà al suo ritorno da Bruxelles e dunque potrà venir trasmesso alle camere all’inizio della prossima settimana.

Poi arriverà la prova del nove in aula: Forza Italia ha vincolato la mancanza di emendamenti al fatto che la legge «non aumenti la pressione fiscale, che non tocchi la casa e che non faccia aumentare le pensioni» e il vicepresidente della Camera azzurro Giorgio Mulè lo ha detto chiaro: «Gli emendamenti saranno presentati: non c'è nulla di male, non si tratta di sabotare la manovra». E quelli che non saranno presentati in chiaro a firma centrodestra potrebbero appunto finire nel «fascicolone di emendamenti» evocato dal solito Patuanelli.

La sponda con la Lega

Non è un caso che il più loquace nel criticare le prime bozze è stato il vicesegretario della Lega Andrea Crippa, battendo soprattutto sul superamento della legge Fornero e sull’esigenza di modificare il testo. Con le buone o con le cattive, sembrava il sottinteso.

Crippa, infatti, è considerato sin dalla scorsa legislatura un buon pontiere con il Movimento 5 Stelle. A lui infatti nel 2019 si erano rivolti alcuni senatori grillini per sondare una ipotesi di passaggio tra le file leghiste: abboccamenti che lui aveva prontamente reso noti.

Anche in questa legislatura, in realtà, il rapporto tra Movimento e centrodestra è sotterraneamente più proficuo rispetto a quello con il Pd. Basti pensare alla tornata di nomine: sia nell’ambito della giustizia che in Rai.

Nella lunga diatriba per nominare i membri laici dei consigli di presidenza della giustizia amministrativa, contabile e tributaria – luoghi poco noti ma ben remunerati e inseriti in luoghi interessanti per la macchina burocratica – infatti il Movimento 5 Stelle è stato l’unico a trovare la quadra e a non sfilarsi dal tavolo, ottenendo la nomina dei suoi e occupando tutto lo spazio di minoranza. A differenza del Pd, che aveva deciso di chiamarsi fuori in polemica con la voracità della maggioranza, Giuseppe Conte ha ben tessuto i rapporti, riuscendo a far nominare addirittura Alfonso Bonafede alla giustizia tributaria.

Lo stesso è avvenuto anche nella spartizione interna degli spazi in Rai: anche in questo caso il Pd si è chiamato fuori, i grillini invece hanno contrattato e occupato lo spazio disponibile in cambio dell’astensione del loro membro in consiglio di amministrazione, Alessandro Di Majo, sia in occasione della nomina dell’ad Roberto Sergio che del via libera alle nomine ai vertici dei Tg. Così è stato anche a inizio ottobre, quando in Vigilanza Rai il Movimento ha approvato con la maggioranza il parere sul nuovo contratto di servizio della tv pubblica e le dinamiche che si muovono intorno alla Rai sono da sempre un indicatore accurato rispetto a ciò che si muove nel quadro politico generale.

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