Che la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 fosse imperfetta e, in alcuni casi anche dannosa, in tanti lo hanno affermato in questi ultimi anni.

Tanti che oggi stranamente rimangono silenti di fronte all’attuazione di quella parte di riforma che non soltanto rischia di mandare all’aria l’unità della nazione, la coesione sociale e gli assetti istituzionali sui quali di basa il delicato equilibrio che dal dopoguerra tengono in piedi l’Italia.

Infatti non ci si rende ben conto che con l’autonomia differenziata proposta c’è soprattutto il rischio di mettere in pericolo la stessa democrazia.

L’attuazione, fino ad oggi responsabilmente evitata, dell’articolo 116 della Costituzione sarebbe come aumentare la dose di un farmaco che si sa già sbagliato per la cura. Ma così il paziente muore.

Spacciata come panacea di tutti mali o soluzione dei problemi delle regioni, considerata una modernizzazione degli assetti istituzionali, in realtà l’autonomia differenziata è un salto nel buio dettato da avventurismo e opportunismo politico.

Il dibattito si sta concentrando su dettagli, importanti ma pur sempre di second’ordine, come l’istituzione dei livelli essenziali di prestazione (Lep) necessari per garantire equità distributiva delle risorse.

Soprattutto ci sarebbe da discutere sul ruolo del parlamento, questo non propriamente un dettaglio. Quello che emerge con chiarezza è che non si parla adeguatamente degli scenari problematici che si determinerebbero con l’attuazione dell’articolo 116, così come non si dice abbastanza del fatto che verrebbero superate a piè pari le autonomie speciali oggi riconosciute a Sardegna, Sicilia, Valle D’Aosta, Friuli-Venezia-Giulia e Trentino-Alto Adige, pur non essendo venute meno le ragioni della loro specialità.

Attuare l’autonomia differenziata renderebbe “tutti speciali” e quindi tutti uguali, cosa non vera com’è noto a chi vive su un’isola. Il primo possibile scenario, da alcuni palesato, è quello di un’Italia “arlecchino” nei servizi essenziali e nella tutela del territorio e delle persone..

Nella sanità dove si consoliderebbero per legge differenze oggi causate da motivi economici, sociali o da sciatteria; nella scuola che vedrebbe programmi di studio diversificati, insegnanti pagati e formati diversamente; nella sicurezza sul lavoro che vedrebbe aumentare il già triste primato di morti e infortuni gravi; nella tutela dell’ambiente e del territorio che si piegherebbe alle variabili politiche e alle esigenze del momento.

Il secondo scenario, di cui si discute ancor meno, è che l’attuazione dell’autonomia differenziata creerebbe in ogni caso un “punto di non ritorno”, nel senso che una volta trasferiti i poteri alle regioni, qualora ci si dovesse rendere conto di aver fatto un grave errore, non sarebbe più possibile ripristinare la condizione pregressa, togliendo cioè poteri alle regioni per restituirli allo stato.

E ciò in ragione del fatto che il loro trasferimento è effetto di un patto sottoscritto da due soggetti (governo e regione). Ma c’è un terzo scenario di cui proprio nessuno parla e che potrebbe essere il più inquietante di tutti. Oggi i poteri che si vorrebbero trasferire alle regioni sono in capo al governo (e alle regioni per le materie concorrenti) che li esercita sotto il controllo dei due rami del parlamento, della corte costituzionale e del presidente della repubblica. Governo e presidente del consiglio peraltro eletti dal parlamento e non direttamente dai cittadini.

Cosa accadrebbe se gli stessi poteri venissero trasferiti ai presidenti delle giunte regionali (molti dei quali amano farsi chiamare governatori) eletti direttamente dagli elettori? Non ci sarebbe quasi alcun controllo. Quali forme di esame potrebbero infatti esercitare i consigli regionali con maggioranze saldamente in mano ai presidenti e opposizioni de facto ininfluenti? Quali altri soggetti potrebbero sorvegliare sull’esercizio di tali poteri? C’è un rischio democratico evidente.

Tre scenari inquietanti che, sommati tra loro, costringerebbero l’Italia a un vero salto nel buio. L’esito sarebbe scontato: una nazione con le gambe spezzate.

Non sarà così? Questi scenari non sono possibili? Chi vuole l’autonomia differenziata ce lo dimostri e dimostri che non si stia provocando un danno al paese, tanto irreversibile quanto drammaticamente costoso per tutti gli italiani, primi fra tutti quelli incolpevolmente poveri, periferici o fragili.

Mario Arca è copromotore comitato sardo contro l’autonomia differenziata

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