Una sportellata al Pd, la botta è fortissima. Per demolire definitivamente l’alleanza giallorossa nel Lazio Giuseppe Conte nel pomeriggio scocca due no programmatici – li chiama «punti cardine» –, sono due missili di precisione. Il primo no è al termovalorizzatore voluto dal sindaco di Roma e concesso dal governo Draghi, che è poi – nella versione grillina – la causa della ritiro della fiducia all’esecutiv: la «proposta per le regionali», dice il presidente M5s, «non potrà mai basarsi sulla costruzione di nuovi inceneritori. È una follia incenerire le materie prime».

Il secondo riguarda la salute: no «al connubio perverso tra politica e sanità, il nostro candidato presidente si impegna a evitare la discrezionalità nella scelta dei direttori delle Asl e dei direttori amministrativi e sanitari, vogliamo persone qualificate che non rispondano a logiche di partito o correnti». I due no hanno un nome e un cognome: il primo è appunto Roberto Gualtieri che governa la Capitale da un anno ma «i problemi della città sono rimasti tutti sul tavolo». L’altro è l’assessore alla sanità Alessio D’Amato, papabile candidato Pd, e l’allusione obliqua è alle accuse di nomine senza concorso, smentite dall’assessore.

Dal Pd del Lazio provano a buttare acqua sul fuoco, il termovalorizzatore non c’entra con il piano regionale dei rifiuti. Ma è chiaro quello che sta dicendo in realtà Conte: no senza appello all’alleanza. Anzi di più stavolta: chiama a sé «le forze progressiste» cioè prova a costruire una coalizione alternativa a quella del Pd. Con condimento di recriminazioni: con «questi vertici Pd», leggasi Letta, lui ha «difficoltà a sederci allo stesso tavolo, e la questione nasce da punti politici seri: una norma sull’inceneritore senza nessun preavviso in un dl sugli aiuti alle famiglie e alle imprese»; con Carlo Calenda e Matteo Renzi anche peggio, hanno «intenzione di distruggere il M5s». 

Goffredo Bettini, il dirigente dem che tentava di ricucire (persino con un libro che presenterà proprio con Conte l’11 novembre a Roma), «è un amico, lo sento molto spesso» ma «si vince se si ha un programma solido, con un’ammucchiata non si va da nessuna parte». Non importa consegnare alla destra la regione, «la logica del voto utile è stata bocciata dagli elettori».

E non importa neanche che oggi il M5s governi nel Lazio con due assessore (Roberta Lombardi e Valentina Corrado, favorevoli al campo largo): i risultati dell’amministrazione uscente non sono «disconosciuti» ma «questo territorio ha bisogno di un programma radicalmente progressista e innovativo».

Il tentativo di spaccare

È evidente il tentativo di spaccare la sinistra. Ed è insididioso l’appello «a tutte le forze politiche, sociali, civiche per costruire un programma progressista». È rivolto in particolare all’ala sinistra del centrosinistra: l’alleanza rossoverde fra Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Che faticherà a resistere al richiamo del no all’inceneritore, e che per restare di qua chiede profilo e contenuti (si potrebbe anche dire che alza il prezzo).

Del resto lo “scouting” a sinistra è già iniziato con il «Coordinamento 2050»: un gruppo di ex guidati da Stefano Fassina, che lavorano a un «polo progressista» a guida M5s. Fassina non dà per scontata la rottura: «Apprezziamo la centralità data da Conte ai punti di programma e chiediamo a tutti i partiti dell’area progressista di incontrarsi e di incominciare a discutere di programma». Neanche Bonelli: «Faremo il miracolo, faremo da ponte».

Anche il Pd del Lazio prova a non rispondere alle provocazioni: «Conte vuole far cadere il campo largo, mettere fine a una ottima esperienza di governo, su un tema che non riguarda la Regione Lazio che è il termovalorizzatore di Roma», ragiona il segretario Bruno Astorre, «La legge ha dato poteri al sindaco di Roma per quello, non è competenza della Regione Lazio. Con i diktat non si va da nessuna parte». C’è chi va oltre: bene, viene spiegato, il riferimento alle tecnologie più attuali per lo smaltimento, «è il percorso che stiamo facendo in regione, si può accelerare».

Ma la ragione dello strappo va al di là dei contenuti. E non farà piacere ai “giallorossi” del Pd, da Bettini a Francesco Boccia a Andrea Orlando: le parole di Conte sono un colpo anche a chi a congresso sostiene tesi unitarie .

Dal lato centrosinistra D’Amato va avanti: domani ha invitato al Teatro Brancaccio i suoi sostenitori. Un inizio corsa, di fatto. Suo grande elettore, Carlo Calenda. Le primarie non sono escluse, anche se il leader di Azione non sembra propenso: «Possiamo desumere che continuare a perdere tempo con il M5S è inutile almeno nel Lazio? Visto che c’è una persona del Pd di valore già in campo, possiamo chiudere?». Si riferisce proprio a D’Amato. In realtà non è esclusa la candidatura del vicepresidente Daniele Leodori.

E le primarie forse servirebbero davvero: almeno a trattenere l’ala sinistra, e evitare che si riversi sotto la tenda grillina.

Dal Nazareno arrivano riflessioni amare: «Conte ha ormai una ossessione per il Pd. Sembra che non riesca a realizzare che l’avversario è la destra. La destra che governa il paese e che rischia, a causa delle sue scelte, di governare anche il Lazio», i suoi toni sono «carichi di rancore e astio. L'impressione è che semplicemente non voglia cercare convergenze e si appresti a una corsa solitaria». Il guaio è che Conte punta alla sinistra, ma stavolta punta allo scavalco: perché proverà a fare una corsa non solitaria.

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