Le riforme costituzionali bocciate sette anni fa dagli italiani in un referendum rimangono sbagliate anche oggi (e domani). Peggio se vengono presentate come carta di accreditamento e/o di scambio. Il confronto fra le diverse proposte può utilmente essere informale, ma il luogo del confronto formale è e deve rimanere, anche in più modalità, il parlamento. Incontrarsi e parlarsi è cortesia istituzionale, ma carta parla. I modelli istituzionali sono inevitabilmente complessi e richiedono conoscenze approfondite che non sono mai esclusivamente giuridiche.

La storia e la strutturazione di un sistema politico-partitico sono indispensabili per prevedere entro i limiti del possibile, le conseguenze pratiche di ciascun modello. Le motivazioni della proposta di uno o altro modello sono decisive non solo per il loro confronto, ma per quella essenziale opera pedagogica che consiste nel coinvolgere la cittadinanza, come si fece nel 1946-47 e nel 2016. Non è sufficiente dire “siamo sempre stati favorevoli (contrari) all’elezione popolare diretta del Presidente della Repubblica” per legittimare quella scelta né il suo ripudio.

Giova anche ripetere che l’elezione popolare del presidente della Repubblica, un cardine costituzionale del presidenzialismo Usa e dei sistemi politici latino-americani nonché dei semipresidenzialismi in Francia, Europa centro-orientale (non in Ungheria), alcuni paesi africani francofoni, Taiwan, non è in nessun modo assimilabile all’elezione popolare del primo ministro, attuata unicamente in Israele per tre volte e poi abbandonata perché disfunzionale.

Avere vagamente il semipresidenzialismo nel proprio programma elettorale del quale, in senso molto lato, si può vantare l’approvazione da parte dei propri elettori, non significa affatto essere investititi di un mandato. Nessun mandato a osteggiare qualsiasi riforma può essere contrapposto dalle opposizioni. Comunque, in democrazia, nessuno può esercitare veti. In una democrazia parlamentare il parlamento è sovrano. I riformatori costituzionali hanno la possibilità di procedere osservando le regole che presiedono alla formulazione, discussione, approvazione dei loro testi senza forzature.

Variamente, qualche volta riprovevolmente, strattonati da una parte o dall’altra, i Costituenti erano pienamente consapevoli dell’eventualità di revisioni. A cominciare, mi piace sottolineare dalla stabilizzazione del governo, ordine del giorno Perassi, il quale, certo, sarebbe favorevole al voto di sfiducia costruttivo.

Una maggioranza assoluta può fare tutte le riforme che desidera tranne quella della “forma repubblicana” dello stato. Qualsiasi maggioranza parlamentare riformatrice sa che la saggezza dei Costituenti si estese a garantire all’elettorato la possibilità di esprimersi contro quelle riforme in un referendum (costituzionale, quindi non “confermativo”, ma oppositivo). Tanto basti. Il resto si vedrà.  

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