Cimeli fascisti, bassorilievo e statua del duce Benito Mussolini: «C’è anche un simbolo comunista, ma gliel’ho messo sotto i piedi», dice ridendo Ignazio La Russa in un video girato a casa sua. Le immagini risalgono al 2018 ma sono state rilanciate in queste ore sui social: «La casa di La Russa custodisce una collezione di memorabilia» recita il sottopancia. A quattro anni di distanza La Russa è il nome che la senatrice a vita Liliana Segre, testimone dell’olocausto e chiamata a presiedere le prime sedute di Palazzo Madama, ha scandito per dichiararlo nuovo presidente del Senato.

Al Senato

Fino a oggi La Russa ha dimostrato di avere un rapporto con la storia molto particolare. Oltre al disegno di legge per festeggiare il 17 marzo l’unità d’Italia, da vero patriota, il senatore di Fratelli d’Italia nella scorsa legislatura ne ha presentato un altro per l’istituzione di una commissione per le violenze negli anni Sessanta e Settanta.

Nel testo si legge che nel suo cuore c’è nello specifico la strage romana di Acca Larenzia, quando il 7 gennaio 1978 furono uccisi due giovani attivisti del Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, davanti alla sede del Movimento Sociale Italiano nella via del quartiere Tuscolano che diede il nome al pluriomicidio. Un evento che richiama ancora le celebrazioni dei nostalgici del duce, a partire dai fascisti del Terzo millennio di Casapound.

La Russa, che ora dice che non c’è niente di nostalgico nel suo partito, oltre ai cimeli fascisti, nell’intervista pubblicata sul Corriere della Sera ricorda il 12 aprile del 1973, il “giovedì nero”, quando il partito neofascista Msi scese in piazza nonostante il divieto della prefettura. La Russa all’epoca era dirigente giovanile e fu testimone dello scontro: «Uccidere un poliziotto per un partito come il nostro fu un trauma da cui faticammo a riprenderci». La sua non era una militanza dell’ultimo minuto, nel 1969 fu riconosciuto e cacciato dalla Bocconi: «Ero andato a prendere la mia fidanzata». Nei giorni successivi incontrò i responsabili: «Si sono presi tanti schiaffi che se li ricordano ancora».

I dissidi con l’Anpi

Cinquant’anni dopo La Russa non festeggia il 25 aprile, il giorno della liberazione dal nazifascismo. Cosa farà se diventerà presidente del Senato? Le polemiche con l’Associazione nazionale partigiani italiani non sono mai finite. «L’Anpi – ha detto qualche anno fa – altro non è che una foglia di fico della sinistra, una associazione che sfila con i centri sociali e che fa comodo solo per tenere alto il pericolo del fascismo, che però non c’è più da ben 72 anni».

Un’idea che, ora che è seconda carica dello stato, non condivide con la prima, visto che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non ha mai mancato di ringraziare l’associazione.

L’ultimo diverbio con l’Anpi riguarda il fratello, Romano La Russa. L’assessore regionale di FdI due settimane fa ha alzato il braccio destro – come per il saluto fascista – al funerale di suo cognato Alberto Stabilini. L’associazione partigiana ha riprovato il gesto e chiesto alla magistratura di «individuare i responsabili e di applicare le leggi Scelba e Mancino per apologia di fascismo». Per La Russa (Ignazio) quello del fratello è stato solo «un grave errore».

Tutti eredi

Se La Russa non sente il 25 aprile, il ricordo delle Foibe, il massacro di italiani ad opera di partigiani jugoslavi, è invece sempre nei suoi pensieri. La Russa in occasione della commemorazione cara alla destra partecipa alla deposizione della corona d'alloro all'Altare della patria, a cui in passato si è presentato con tutti i big del partito: Giorgia Meloni, Guido Crosetto, Daniela Santanché e Fabio Rampelli. Con sottofondo dell’inno nazionale e sventolamento del tricolore.

L’attenzione al duce non si è mai spenta. Nel 2019, La Russa se l’è presa con il vescovo di Ventimiglia, Antonio Suetta, che non voleva acconsentire a celebrare la commemorazione della morte di Mussolini il 28 aprile. La Russa non era d’accordo: «Non so come possa essere strumento di polemica, è solo un ricordo religioso di una persona che non c’è più e credo che la religione cristiana non preveda divieti di questo tipo».

Con il fascismo, ha detto di recente, «abbiamo chiuso a Fiuggi», al congresso del 1995 che sciolse l’Msi. L’allora leader Gianfranco Fini nelle sue tesi disse che la destra non è figlia del fascismo. «Noi con i neofascisti e il folclorismo nostalgico non abbiamo niente a che spartire, la sinistra si metta l'anima in pace», ha risposto al Foglio La Russa l’anno scorso senza specificare se intanto a casa sua siano spariti i cimeli che si vedevano nel video.

A settembre, durante un diverbio con il governatore Michele Emiliano in vista delle elezioni, è stato provocato sulle sue origini politiche: «Siamo tutti eredi del Duce – ha risposto –, se intendi eredi di quell’Italia dei nostri padri, dei nostri nonni e dei nostri bisnonni».

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