I vertici del sistema Autostrade-Atlantia capiscono che le cose si  stanno mettendo male quando anche politici che loro sembravano considerare amici iniziano a prendere le distanze. Da una serie di intercettazioni telefoniche finora inedite nell’inchiesta sul crollo del ponte Morandi emerge infatti la delusione del manager di riferimento della famiglia Benetton Gianni Mion e del presidente della holding Atlantia che controlla Autostrade, Fabio Cerchiai, verso il mondo dei renziani sparsi tra Pd e Italia Viva.

Oggi i Benetton hanno congedato Mion, sostituendolo con il commercialista Enrico Laghi, ma a inizio 2020 era lui al comando del gruppo come amministratore delegato della holding Edizione, dopo aver estromesso il suo storico rivale, l’ex amministratore delegato di Atlantia Giovanni Castellucci.

I rapporti con Italia Viva

Il 3 gennaio 2020, Mion viene intercettato al telefono con Fabio Cerchiai mentre commenta l’intervista del Fatto Quotidiano al procuratore capo di Genova, Franco Cozzi, che guida le indagini sul ponte Morandi. Nell’intervista Cozzi parla dei cedimenti del soffitto di una galleria pochi giorni prima sull’autostrada A26: “Ormai si susseguono spie di inadeguatezza nella manutenzione”, sia sulle gallerie che sulle barriere anti rumore che saranno poi al centro di un altro filone di indagine. Cozzi dice che servono regole diverse per fugare il sospetto che “i controlli siano stati svolti da soggetti che possano avere come punto di riferimento la necessità del concessionario”. Sta dicendo che il ministero dei Trasporti è sempre stato troppo condiscendente con Autostrade.

Mion e Cerchiai parlano della ministra in carica, Paola De Micheli, che per Mion ha fatto “un po’ di casino” e Cerchiai rincara “perché anche lei è debole, non sa che pesci prendere”. Cerchiai lamenta un “clima complessivo” molto negativo per l’azienda, e a riprova cita il fatto che il senatore del Pd Andrea Marcucci “ha trasformato il suo incontro in una call… non ce vogliono vede’…”. Poi parla del ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova “dalla quale sarei andato io stesso” ma anche lei inizia a diffidare, “la Bellanova che era disponibile, adesso prende tempo”. Bellanova è sempre stata critica sulla revoca della concessione, ma dal suo staff confermano che c’era stata in quei giorni un richiesta di incontro da parte di Autostrade che la ministra non ha accolto.

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Secondo Mion il cattivo clima dipende in parte dagli incidenti nelle gallerie, ma la diffidenza dei politici di riferimento si deve anche al fatto che “quella parte là è preoccupata per i mancati controlli” e Cerchiai conferma, dice che il procuratore Cozzi ha ragione, “in realtà i controlli li dovrebbe fare il ministero”.

Se il fuoco delle inchieste si sposta dalle inadempienze di Autostrade alla supervisione inefficace, sembra il senso, si rischia di arrivare alle responsabilità della politica: “Non c’è dubbio, sono preoccupati, Marcucci è chiaramente preoccupato”, dice Mion che poi aggiunge “e così anche Renzi”. Concetto che ripete poco dopo: "Tutto il Pd è in questa situazione, eh, Renzi compreso… loro sanno che non hanno fatto, no?”.

Per quanto il dialogo sembri surreale, se ne comprende il senso considerando il potere di influenza  che i vertici della galassia Benetton ritengono di avere da sempre sulla politica e in particolare sul centrosinistra: magari l’azienda  non ha fatto le manutenzioni richieste, ma la responsabilità è almeno da condividere con chi avrebbe dovuto vigilare e non lo ha fatto. Una chiamata in correo che lascia intravedere una certa sicumera, come dimostrano le parole di Cerchiai: “Quello che dice il procuratore è un po’ una cacata (…) nel senso buono del termine (…) ma in realtà Autostrade, sbagliando, esercita un ruolo di manutenzione (…) che è sottoposto al controllo del ministero”. 

Per questo il riferimento a Renzi, che è stato anche ministro dei Trasporti ad interim, per un paio di settimane  tra le dimissioni di Maurizio Lupi e la nomina di Graziano Delrio nel 2015. Mion e Cerchiai pensano di poter tenere in scacco tutti i loro vigilanti che non hanno vigilato.

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Bellissima ministra

Per dare l’idea di come ad Autostrade intendano il rapporto con il ministero che in teoria dovrebbe controllarli è utile un’altra telefonata del 27 febbraio 2020 tra Roberto Tomasi, Giancarlo Guenzi e  Cerchiai. Tomasi è l’attuale amministratore delegato di Autostrade, Guenzi è il direttore generale di Atlantia. Discutono di una lettera da inviare alla ministra De Micheli, sono i giorni in cui si negozia il piano economico e finanziario che stabilisce la redditività futura di Autostrade e dunque a quale prezzo Atlantia e i Benetton possono sperare di vendere l’azienda.

De Micheli si è appena espressa pubblicamente suggerendo alternative alla revoca di cui si parla di nuovo, anche per effetto dei nuovi  problemi di manutenzione in Liguria. Guenzi dice che la lettera deve essere “molto dura”, Cerchiai suggerisce: “Io la aprirei dicendo, cara ministra non hai fatto un cazzo fino ad oggi…”. Cerchiai a un certo punto dice a Tomasi: “Tu e Giancarlo (Guenzi, ndr) conoscete la ministra molto più di me perché siete stati quaranta volte, io tre…”. I tre iniziano a ridere e scherzare, soprattutto su come rivolgersi alla ministra De Micheli. Guenzi dice di evitare la formula “spettabile ministra”, Cerchiai suggerisce: “Se vuoi farla felice scrivi: bellissima ministra”.

«Tutta colpa di Castellucci»

Mion e Cerchiai sembrano intenzionati a proteggere la famiglia Benetton dalle conseguenze della crisi di Autostrade innescata dal crollo del ponte Morandi e dalle successive inchieste e trattative con il governo sulla concessione.

La strategia che si percepisce dalle telefonate è quella di tentare di scaricare tutte le responsabilità sull’ex ad di Autostrade e Atlantia, Giovanni Castellucci, antico rivale di Mion e fuori dall’azienda da settembre 2019: “Diciamo… che hanno raccolto confidenze dell’ingegnere Castellucci, due giornalisti, che dice: Ma no ma gli azionisti sono sempre stati informati di tutta la nostra strategia… di tutto”, dice Mion. Cerchiai commenta: “Vabbè informati” e aggiunge: “Anche Castellucci dobbiamo metterlo in un angolo, ci sono gli azionisti che erano informati nell’assemblea, l’unica informazione che ha…” E Mion: “Esatto, esatto”.

La linea sembra quella di sostenere che gli azionisti, cioè i Benetton, sapevano soltanto quello che veniva riferito a tutti i soci nell’assemblea annuale, il resto era responsabilità di Castellucci, una tesi che sembra bizzarra visto quanto Mion, che è uomo dei Benetton e che lavora soltanto per la holding finanziaria a monte della catena societaria e non per Autostrade, è addentro anche ai dettagli più particolari della gestione. La sintesi, per quanto da decifrare, è nascosta in un’altra frase di Mion: “Anche quel discorso del povero Castellucci che dice degli azionisti, fa la figura del coglione due volte, no? Perché allora dici: ma allora è arrivato un fesso”.

L’ultimo giorno del 2019 Mion parla con Davide Leone, gestore di un fondo di investimento a Londra presieduto dallo stesso Mion. Quel giorno i giornali danno notizia del crollo della volta nella galleria sull’A26, in Liguria. Leone suggerisce: “Tutto in conto a Castellucci… anche questa… la galleria” . E Mion: “Si però non è solo Castellucci francamente… perché la verità è che c’era questa società che si chiama Spea, no? (la controllata di ingegneria di Autostrade, ndr) fatta tutta di ingegneri (…) qualcuno a suo tempo degli interni mi aveva detto (…) c’è una banda di lazzaroni”.

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Scaricabarile

Il concetto di “scaricabarile” viene sviscerato da Giorgio Brunetti, un professore emerito della Bocconi, in una telefonata ormai famosa con Mion, riassunta già nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari nel filone di inchiesta sulle barriere fonoassorbenti, quella in cui Mion ammette che “il vero grande problema è che le manutenzioni le abbiamo fatte in calare, più passava il tempo, meno facevamo”.

E’ il 2 febbraio 2020, Mion si lamenta della famiglia Benetton per la quale ha lavorato tutta una vita, dice addirittura che “la famiglia è morta” e che “l’hanno ammazzata le due feste di Cortina”, allude alle riunioni di famiglia di Ferragosto, confermate anche nel 2018, il giorno dopo il crollo del ponte Morandi. Dice che i Benetton “hanno dato la sensazione di essere veramente senz’anima e senza sentimenti”.

Mion analizza poi l’atteggiamento degli azionisti di controllo di Autostrade verso il processo per il ponte Morandi. Luciano Benetton “tre giorni prima delle famose intercettazioni diceva che qua passava tutto eh…. Che erano tutte cazzate, cioè loro non hanno mai avuto consapevolezza”. Però, dopo la tragedia del 2018, le cose sono cambiate e con la procura di Genova molto più attiva “è un rovistare continuo… in Autostrade… in Spea, in quel mondo là non si salva nessuno! O tutti acquiescenti o tutti complici”. L’idea che possano dimostrarsi tutti innocenti non viene neanche presa in considerazione.

Il professor Brunetti pronuncia la parola: “Sì, lo scaricabarile”. E Mion: “esatto! Così è, però proprio la famiglia, finché il vento era a favore (…) andava apposto… (…) quando il vento è cambiato ha dimostrato (…) impreparazione assoluta, nella prima come nella seconda generazione”. Negli anni in cui le cose andavano bene e, come dice lo stesso Mion, si facevano le manutenzioni “in calare”, “Gilberto e tutta la famiglia”, cioè il Benetton che si occupava di autostrade (morto due mesi dopo il crollo del Morandi) “erano contenti”. Poi, dopo la caduta del ponte, “negli ultimi tre anni hanno perseguito una forsennata politica di riduzione dei dividendi che adesso non si reggerà nella maniera più assoluta… adesso Alessandro (figlio di Luciano Benetton, ndr) li vuole”.

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