Fuori dal partito chi dissente dalla linea dettata da Matteo Salvini e dal cerchio magico dei segretari regionali. Negli ultimi giorni, da Paolo Tiramani a Maura Tomasi, si sono moltiplicate le espulsioni nella Lega. Talvolta con un avviso di sfratto in una chat privata. Il motivo? Le critiche alla leadership e la richiesta di un cambiamento dei dirigenti locali.

Con un’aggiunta: il divieto di creare tensioni con gli alleati di Fratelli d’Italia. Insomma, dal pesante ko rimediato alle politiche, è stata ordinata una stretta sulla tolleranza del dissenso in casa leghista. Il caso più clamoroso ha riguardato la Lombardia, a dicembre, quando i consiglieri regionali Antonello Formenti, Federico Lena e Roberto Mura sono stati messi alla porta. In quel caso c’era la motivazione della formazione di un gruppo autonomo, il Comitato Nord vicino a Umberto Bossi.

L’espulsione di Tiramani

Altri hanno subìto lo stesso trattamento per molto meno. Uno degli ultimi a pagare il conto è stato Tiramani, ex deputato non ricandidato il 26 settembre, nonostante fosse stato sindaco di Borgosesia, nel vercellese, dove può contare su un buon radicamento territoriale. Nei giorni scorsi, attraverso la stampa locale, ha appreso della decisione della Lega.

«Non ho ricevuto la nota ufficiale. Peraltro non avevo ancora provveduto al rinnovo della tessera del partito, visto che quella attuale è valida fino alla fine di giugno. Evidentemente temevano che potessi rinnovarla», dice Tiramani. Ma per quale motivo si è arrivati alla rottura?

Aveva definito il voto delle politiche «un risultato da dimenticare», invocando un rinnovamento attraverso la celebrazione dei congressi. Parole che lo hanno messo definitivamente ai margini, dopo che non era stato candidato per una presunta vicinanza a Fratelli d’Italia. «Avevo chiesto di smentire con una nota ufficiale del partito quell’indiscrezione, mi risposero che bastava la parola».

Statuto caserma

Fatto sta che l’ex parlamentare non è stato ricandidato anche per un rapporto non idilliaco con il capogruppo alla Camera della Lega, Roberto Molinari, leader piemontese del partito. Tiramani è stato ufficialmente silurato dal comitato disciplina e garanzia federale, presieduto da Maurizio Bosatra, a cui spetta il compito di pronunciarsi su casi del genere. Secondo quanto si apprende, non ci sarebbe alcun coinvolgimento formale di Salvini nella sanzione.

D’altra parte Bosatra è molto vicino all’attuale vicepremier, ne traduce gli umori, e sfrutta lo statuto del partito che non lascia molto margine di manovra ai dissidenti. Prevede l’espulsione per «qualsiasi comportamento che, con atti, fatti, dichiarazioni o atteggiamenti anche omissivi, danneggi oggettivamente l’azione politica della Lega» o «cerchi di comprometterne l’unità». Il regolamento interno consente il ricorso, ma quasi tutti danno per scontato il rigetto.

Nessuno tocchi Meloni

La vicenda Tiramani non è isolata. Ne sa qualcosa un’altra ex parlamentare e attuale vicesindaca di Comacchio (Ferrara), Maura Tomasi, nota per aver sconfitto Dario Franceschini nel collegio uninominale di Ferrara alle elezioni politiche del 2018. Dopo giorni di indiscrezioni, alla fine è arrivato il cartellino rosso per lo stesso motivo: le dichiarazioni lesive all’immagine del partito. Secondo quanto si apprende, però, Tomasi avrebbe pagato le tensioni con il senatore di Fratelli d’Italia, Alberto Balboni, uomo forte del partito di Giorgia Meloni nel ferrarese, che ha a sua volta respinto le accuse di influenzare le dinamiche interne alla Lega.

Salvo poi sostenere che la responsabilità di alcune sconfitte sul territorio sono state frutto di «spaccature interne alla Lega e alla formazione, da parte di alcuni suoi fuoriusciti, di liste alternative al centrodestra». Il nuovo corso salviniano chiede quindi di non creare rapporti con i fedelissimi di Meloni.

La lista degli espulsi dalla Lega prosegue con Sandro Zaffiri, ex vicepresidente del Consiglio regionale delle Marche e storico militante leghista. La sanzione è stata comminata pochi giorni fa: non gli è stato perdonato di aver definito «deludente» il risultato delle ultime elezioni.

E andando indietro di qualche settimana, a dicembre, in Calabria il conto era stato pagato da Emilio Greco, estromesso dal partito poche ore prima della nomina di coordinatore provinciale a Cosenza. La contestazione nei suoi confronti era relativa ad alcuni post critici sui social risalenti agli ultimi giorni di campagna elettorale.

Nella Lega che non accetta il dissenso non ci sono solo le espulsioni. In tanti, capita l’aria che tira, preferiscono andare via prima di essere cacciati, come avvenuto per altri ex parlamentari, dall’altoatesino Filippo Maturi all’abruzzese Guido Bellachioma.

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