È arrivato il primo vero scontro tra il governo di Mario Draghi e la magistratura. Non sulle necessarie riforme del settore giustizia già in cantiere o sull’utilizzo delle risorse del Recovery plan, ma sul diritto delle toghe a vaccinarsi contro il Covid sfruttando una corsia preferenziale.

All’indomani della presentazione del nuovo Piano strategico vaccinale, che non prevede più tra i gruppi di popolazione cui offrire il vaccino in via prioritaria i lavoratori del comparto giustizia, l’Associazione nazionale magistrati ha diramato una durissima nota. Il sindacato delle toghe ha invitato «i dirigenti degli uffici giudiziari ad adottare, a tutela della salute, energiche misure organizzative al fine di rallentare immediatamente tutte le attività», senza escludere «anche la sospensione dell’attività giudiziaria non urgente». Questo perché la pandemia sta peggiorando e se non si vaccinano i magistrati è impossibile tenere gli stessi ritmi produttivi nei tribunali senza correre rischi per la salute. Segue un’accusa al governo, che «sottovaluta l’essenziale e improcrastinabile servizio giustizia» e si muove in antitesi con «gli obiettivi di ridurre i tempi dei processi imposti dall’Ue e richiamati dalla ministra Cartabia».

Le parole dell’Anm sono suonate quasi come una minaccia, che ha fatto insorgere tutti: politica, avvocatura e anche il ministero. Cartabia non ha commentato in modo ufficiale ma da via Arenula è trapelato fastidio, visto che la Guardasigilli ha incontrato il 17 marzo i vertici dell’Anm e già allora avrebbe anticipato loro sia la proroga dello stato di emergenza al 31 luglio (che sarà domani in consiglio dei ministri) che la scelta di vaccinare per classi d’età e non per categorie. Le toghe, invece, avrebbero interpretato come più interlocutoria la posizione della ministra sui vaccini.

La nota dell’Anm, tuttavia, si presta ad alcune constatazioni. Secondo l’ultimo rapporto Cepej, la giustizia italiana è già tra le più lente e ingolfate d’Europa, con un processo civile che dura in media 7 anni e tre mesi per i tre gradi di giudizio. Inoltre la pandemia – come è stato certificato nel corso delle inaugurazioni dell’anno giudiziario in tutte le corti italiane – ha aumentato la durata dei procedimenti e fatto crescere la mole di arretrato. Per smaltirlo ci vorranno anni. Insomma, l’unico modo per procedere ancora più lentamente sarebbe proprio quello di sospendere del tutto l’attività, che comunque rimane contingentata nel rispetto dello stato di emergenza, con cancellerie aperte per fasce orarie e ingressi nei tribunali ridotti per gli avvocati. Del resto era stata la stessa Anm – proprio per ridurre gli assembramenti – a chiedere di incentivare ancora di più il processo telematico sia civile che penale con udienze via computer, nonostante la contrarietà dei penalisti.

Inoltre nei tribunali non lavorano solo i magistrati ma anche personale di cancelleria e avvocati, che si sono compattati contro quella che è stata letta come una sorta di minaccia di “sciopero bianco”. Secondo il Consiglio nazionale forense, la posizione dell’Anm «rischia di apparire come una mera rivendicazione di privilegio», anche perché paventare la sospensione dei processi «arrecherebbe danni come sempre in primo luogo ai cittadini, privati del diritto di tutela».

Tutti contro l’Anm

A polemica ormai esplosa l’Anm ha provato a ridimensionare la portata del comunicato. Il presidente Giuseppe Santalucia ha detto che l’Anm non ha minacciato, ma suggerito ai dirigenti «di valutare se ruoli stracarichi di procedimenti e udienze affollate possano oggi convivere con la pandemia». Il segretario generale Salvatore Casciaro ha aggiunto che il governo ha il pieno diritto di eliminare i magistrati dal piano vaccinale ma che l’Anm ha solo constatato che «se si vuole garantire la salute, non è possibile continuare a lavorare negli uffici giudiziari con le stesse modalità in presenza». E tra le diverse forme di tutela va considerato anche «il raffreddamento della macchina giudiziaria cercando, in questa fase di recrudescenza del virus, di limitare le udienze in presenza alle urgenze». Insomma, quello dell’Anm sarebbe stato solo un invito ai capi degli uffici di valutare come gestire il lavoro, tenendo conto della pandemia e che i magistrati non sono più in cima alla lista per vaccinarsi.

Tempesta in un bicchier d’acqua? In realtà la questione ha diviso gli stessi magistrati. Se l’Anm ha provato a minimizzare, alcuni gruppi si sono sfilati. «Abbiamo commesso un errore», ammette Mariarosaria Guglielmi, segretaria di Magistratura democratica. «Abbiamo trasmesso un messaggio sbagliato: non la richiesta di interventi a tutela di tutti quelli che lavorano nei tribunali, ma voler porre condizioni allo svolgimento del servizio e considerarci come categoria che rivendica una tutela prioritaria».

Eppure in molti territori i vaccini proseguono. Il 27 marzo è stata somministrata la dose a tutto il personale di Padova, compresi i giudici onorari e gli amministrativi: circa 250 persone in 3 giornate. Esclusi, invece, gli avvocati. Nei giorni scorsi, lo stesso annuncio è arrivato anche da Catanzaro. L’Italia rimane ancora la terra dai mille campanili e delle corporazioni: ognuna che rivendica (e minaccia) d’essere più essenziale dell’altra. Ognuna che misura il suo peso rispetto alle altre sulla base dei privilegi ottenuti.

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