Le opposizioni di sinistra hanno provato a fare un fuoco di fila per fermare il decreto che toglie i freni alla premier pronta a melonizzare l’azienda. Un decretino, confermato dopo una lunga tarantella di incertezze, che è entrato ieri nell’ordine del giorno del consiglio dei ministri convocato nel pomeriggio. Ma che alla fine è stato approvato.

Il titolo riportato nella convocazione della riunione era evasivo: «Disposizioni urgenti in materia di amministrazione di enti pubblici e società, di termini legislativi e di iniziative di solidarietà sociale». Ma di che si trattava ormai lo sapevano davvero tutti: una norma che interviene sul limite di età a 70 anni oltre cui scatta il pensionamento dei direttori delle fondazioni lirico-sinfoniche, anche stranieri (per gli italiani è già così).

La norma ha un nome e un cognome, anzi due. Il primo è Stéphane Lissner, che sarà così essere costretto alle dimissioni da sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli; il secondo è Carlo Fuortes, l’ad Rai che andrà a rimpiazzarlo, liberando il suo posto che palazzo Chigi vuole subito occupare con uno dei propri nomi, Roberto Sergio, ora a RadioRai, per poi a sua volta sostituirlo con il melonianissimo Giampaolo Rossi.

Sempreché la premier non si rimetta in qualche pasticcio, come ha fatto finora. E che il direttore francese non faccia ricorso, bloccando o rallentando tutta l’operazione. Intanto per oggi è convocato il cda Rai: all’ordine del giorno “comunicazioni” dell’ad e del presidente. Ma è difficile che arrivino le sue dimissioni prima che tutta l’operazione vada in buca. E la strada non è immediata. 

Finora la sinistra era stata a guardare, imbambolata, mentre fioccavano le notizie sull’operazione di spoils system neanche mascherata, anzi lasciata filtrare senza complessi. Ieri invece sono scattate le proteste. «Si tratterebbe della più classica delle norme ad personam con l’aggravante di utilizzare le istituzioni per scopi di partito, per piazzare i propri amici dove gli fa più comodo», secondo i Cinque stelle della commissione Vigilanza.

Più diretti i rossoverdi Angelo Bonelli e Peppe De Cristoforo: «Se la Meloni vuole cacciare l’attuale ad Rai Carlo Fuortes lo faccia alla luce del sole non usi mezzucci. Se la destra vuole occupare la Rai almeno ci metta la faccia. Sono mesi ormai che la maggioranza bombarda la Rai con polemiche strumentali».

Il Pd, dopo mesi di inspiegabile silenzio, aveva annunciato opposizione già la sera prima per bocca di Stefano Graziano, capogruppo in Vigilanza: «Ci opporremo a una norma ad personam che consenta a questo governo di cambiare i vertici della Rai senza avere una minima idea di visione di ciò che deve essere la più grande azienda culturale italiana. La legge non prevede spoil system».

Ma una volta trovato l’accordo nella maggioranza, i numeri del parlamento non lasciano speranze nel momento della conversione del decreto. Che ha agitato però gli animi anche dei ministri, riflesso della guerriglia fra Fdi e Lega per le nomine della tv pubblica. E non solo. Ieri il consiglio dei ministri è slittato di due ore e mezzo. Il decreto che doveva essere «tecnicamente pronto», pronto non era. Ma alla fine è stato approvato. La discussione invece si è inceppata sulla nomina del nuovo comandante generale della Guardia di Finanza che prenderà il posto di Giuseppe Zafarana (indicato presidente dell’Eni). In consiglio i ministro di FdI e Lega litigano: i primi vogliono il generale Andrea De Gennaro, fratello dell'ex capo della Polizia, gradito a Meloni; i secondo il generale Umberto Sirico. L’accordo non arriva, la nomina è di nuovo rinviata.

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