Lei, Giorgia Meloni, sospettosa verso qualsiasi appuntamento non pianificato nei minimi dettagli dal suo entourage. Perennemente diffidente nei confronti di ogni contatto diretto con la stampa, preoccupata da eventuali contestazioni. Insomma, una presidente del Consiglio blindata nella torre d’avorio di palazzo Chigi.

Lui, Matteo Salvini, in giro come una trottola per l’Italia a inaugurare cantieri e a tagliare i nastri di opere terminate. Un vicepremier alla ricerca costante del contatto con il popolo, di quel feeling con gli elettori spezzato nell’estate di quattro anni fa, dal Salvini “Papeete edition”.

Un po’ di acqua sotto i ponti è passata e, nell’onirica attesa salviniana che ne passi altra sotto il Ponte sullo Stretto – nuovo feticcio della Lega –, il segretario del (fu) Carroccio usa il trampolino di lancio del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. Rispolverando lo stile Viminale.

La strana coppia di palazzo Chigi corre lungo due binari paralleli ma con la stessa destinazione: le elezioni europee del 2024. Alla chiusura delle urne Fratelli d’Italia e Lega dovranno fare un primo tagliando della legislatura. E si potrà capire a chi ha giovato l’alleanza di governo.

Il simbolo del 16 luglio

Due istantanee, datate domenica 16 luglio, raccontano la siderale distanza nella linea di Meloni e Salvini. Quel giorno la premier è stata immortalata, mentre era impegnata nell’appuntamento ufficiale, a Tunisi, per parlare con il presidente tunisino, Kais Saied. Al suo fianco la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro olandese, Mark Rutte.

Una cornice solenne per un appuntamento cruciale nella battaglia intrapresa dalla premier: cementare il rapporto con la Tunisia facendo sponda con l’Ue. In ogni caso uno scenario preconfezionato in ossequio all’ufficialità del momento.

Il leader della Lega e ministro delle Infrastrutture, nelle stesse ore, si è fatto fotografare sorridente, mentre saliva le scale di un aereo Ryanair, diretto in Lombardia, dopo un giro di incontri istituzionali in Puglia, tra «fabbriche, cantieri e ferrovie», come ha scritto nel post su Facebook che lo ritrae pronto a imbarcarsi sul volo low cost.

Tradotto: c’è chi va in cerimonia con i big internazionali a bordo di un aereo di stato, e chi sta tra la gente, a Noicattaro (Bari). Ma è solo un caso tra i tanti. Anche quando si tratta di incontri tutti pensati per la propaganda, Meloni preferisce restare impermeabile all’esterno, sotto l’ombrello del protocollo di sicurezza di palazzo Chigi.

Il tour di Sardegna

Esempio lampante è stato il viaggio di inaugurazione del treno Roma-Pompei: i cronisti prima confinati in un apposito vagone, ben distanti dalla premier, e poi costretti ad attendere al sole il “punto stampa” per le dichiarazioni di rito.

Tutto preparato a puntino, a prova di inconveniente con un sigillo ermetico verso l’esterno. Salvini, qualche ora dopo, ha realizzato un tour della Sardegna, una campagna di incontri e inaugurazioni su territori spesso lontani dai fari della politica.

Ha celebrato, con tanto di annuncio social, «sei chilometri di strada statale, a carreggiata unica e due corsie, priva di accessi e intersezioni per garantire la massima sicurezza agli automobilisti nel tratto da Bari Sardo a Tortolì», due località in provincia di Nuoro. In precedenza era passato a Orgosolo, sempre nel nuorese, scattando una foto con il sindaco Pasquale Mereu, per celebrare la ripresa dei lavori della diga di Combidanovu. Con la promessa di terminare l’opera nei prossimi tre anni.

Un Salvini in versione stringimani, dunque, che sale sulla tolda di comando di un ministero che garantisce per forza di cose un dialogo fitto con istituzioni, amministratori locali in testa. Addirittura ha bypassato le divergenze politiche e i battibecchi a distanza, con il primo cittadino di Milano, Beppe Sala: lo scorso 4 luglio non ha esitato a farsi vedere al suo fianco per l’inaugurazione della linea M4 di Milano, che collega San Babila a Linate.

Una settimana dopo, a Novate Milanese, era a illustrare le magnifiche sorti e progressive della quarta corsia dell’autostrada A4. Ma il moto perpetuo del leader leghista non si ferma alla sua regione d’elezione. Il 14 luglio è sceso a Maratea, in provincia di Potenza, per partecipare alla riapertura della SS18 dopo una frana che, nel novembre scorso, aveva bloccato una tratta fondamentale per la viabilità della Basilicata.

Al fianco delle opere concluse, poi, Salvini ha inserito qualche promessa a lunga scadenza, stile Ponte sullo Stretto, rispolverando il vecchio stile, sebbene con meno felpe e più caschetti gialli per visitare i cantieri: «L’obiettivo è portare l’alta velocità in Puglia, per arrivare in due ore da Bari a Napoli, tre ore da Bari a Roma», ha detto. Un viaggio propagandistico incessante con un punto di approdo preciso: le elezioni.

La propaganda, in fondo, è una specialità della casa del leader. La previsione è facile: da qui a giugno 2024 sarà tutto un continuo girovagare per la penisola alla ricerca di infrastrutture da elogiare.

Isolamento Meloni

E se il ministro-vicepremier cerca la gente, i sorrisi e le dichiarazioni a favore di telecamere, Meloni non si lascia condizionare e resta agli antipodi: sempre più blindata. L’ossessione è quella di tenere a debita distanza innanzitutto la sgradita presenza della stampa.

Il duello con i cronisti è ormai un fatto assodato. Le sue parole arrivano quasi esclusivamente al termine di incontri ufficiali, come già accaduto per il vertice di Tunisi. Niente bagni di folla. E lo stesso trend era andato in scena qualche giorno prima, dal 10 al 12 luglio, durante il summit della Nato, a Vilnius, in Lituania.

I giorni di confronti con capi di stato e di governo hanno visto una premier più attenta al protocollo. Ha prestato maniacale attenzione ai dettagli per non incappare in scivoloni, anche di immagine. Non si spiega altrimenti la partecipazione della premier alla commemorazione dell’attentato a Paolo Borsellino, nella caserma Lungaro di Palermo e la successiva assenza alla fiaccolata organizzata in via D’Amelio.

Il timore di contestazioni, dell’incidente di percorso di immagine è stato più forte della volontà di presenziare all’appuntamento più popolare della celebrazione della figura del giudice antimafia. «Chi dovrebbe contestarmi esattamente?», ha attaccato la presidente del Consiglio, sempre più innervosita e che, sempre più spesso, giustifica ciò che accade con generiche «ragioni di sicurezza».

E per spiegare le ragioni dell’assenza alla fiaccolata di Palermo ha scelto il modello, iper istituzionale, della lettera al Corriere della Sera. Così da evitare pure l’intervista. Meglio il monologo, a prova di errore.

Bunker Chigi

La strategia della chiusura è un mantra pure negli uffici di palazzo Chigi. L’inner circle è ristrettissimo. Settimana dopo settimana la premier si affida sempre alla solita coppia: la segretaria tuttofare, Patrizia Scurti, e l’onnipresente portavoce, Giovanna Ianniello.

Nello staff presidenziale tutti gli altri sono relegati a un ruolo ancillare, fanno il minimo indispensabile. Il capo ufficio stampa Mario Sechi, in attesa di passare a Libero, resta un oggetto non identificato. Qualsiasi iniziativa fa riferimento alle due sodali di Meloni, che la seguono come un’ombra.

Le partite politiche interne alla presidenza del Consiglio sono delegate ai due sottosegretari, Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano, i gemelli diversissimi che operano all’ombra della premier. La loro rivalità ha un fondamento: cercare di entrare ulteriormente nelle grazie meloniane, facendo professione di totale fedeltà.

Altra storia al Mit. Salvini cerca di farsi vedere il più possibile, di tenere le leve del dicastero, ma lasciando spazio di manovra ai tecnici. Anche perché non ha le competenze su certe materie.

È certo, però, che non fa mai mancare i suoi saluti ai vari tavoli tecnici ministeriali, «compresi quelli non centrali», raccontano dal dicastero. L’obiettivo è di gettare radici alle Infrastrutture, che offrono una bella occasione di rispolverare l’immagine dell’“uomo del fare vicino alla gente”. L’altra faccia della propaganda di governo. E il modo per sfidare la sua alleata, svelando la fine della narrazione dell’underdog.

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