Il Partito democratico della Lombardia insorge contro l’ipotesi di sostenere, come candidata alla presidenza nelle prossime elezioni regionali in Lombardia, Letizia Moratti: ex sindaca di Milano, ex contestatissima ministra dell’Istruzione ed ex assessora alla Sanità lombarda quasi altrettanto criticata. Anche se alcuni sondaggi indicano che avrebbe buone possibilità di battere il presidente uscente, il leghista Attilio Fontana; anche se la sua candidatura potrebbe contribuire a rompere l’unità del centrodestra, con possibili conseguenze per il governo, il segnale che arriva dal territorio è che Moratti è una candidata inaccettabile. Non importa se sostenerla significa strappare agli avversarsi una regione simbolo.

Fuori dal centrodestra

Letizia Maria Brichetto Arnaboldi, 73 anni, vedova del petroliere Gian Marco Moratti, è una veterana della politica italiana e una figura simbolo del centrodestra berlusconiano, di cui fa parte sin dal 1994, quando è stata scelta come presidente della Rai. Chiamata nel gennaio del 2021 a gestire il fondamentale assessorato al Welfare della Lombardia, in pezzi dopo un anno di caotica gestione della pandemia, Moratti è rapidamente entrata in rotta con il presidente Fontana.

Per mesi ha sperato di riuscire a soppiantarlo come candidata ufficiale del centrodestra, anche in virtù di una promessa «passaggio di testimone» che, dice, le sarebbe stata fatta dallo stesso Fontana. I leader nazionali del centrodestra, però, hanno cercato in tutti i modi di dissuaderla. E alla fine si sono accordati per sostenere un esponente di Fratelli d’Italia nel Lazio e confermare il presidente uscente in Lombardia (mentre l’influente assessorato al Welfare, con i suoi fondi destinati alla Sanità, andrà a Forza Italia).

Dopo aver preso atto della situazione, quando stava per essere sfiduciata e sostituita con Guido Bertolaso, Moratti ha annunciato le sue dimissioni da assessora e vicepresidente della regione, ultimo passo prima dell’annuncio ufficiale della candidatura.

Candidata con chi?

L’ex sindaca ora deve trovare degli alleati che però, almeno ufficialmente, non sembrano abbondare. Un alatro ex sindaco di Milano e vecchia conoscenza del centrodestra come Gabriele Albertini ha detto che «lei avrebbe desiderato di essere candidata del centrodestra. La sua lista è ormai in fase avanzata di realizzazione, ci sono 12 punti programmatici, nomi di persone che lavorano sul territorio. C’è una squadra pronta ad appoggiare la sua candidatura».

Per ora il più entusiasta di questa ipotesi sembra essere il leader di Italia viva, Matteo Renzi: «Se fossi il segretario del Pd la chiamerei di corsa». Per Carlo Calenda, Moratti è una candidata «di qualità», ma spinge molto di meno sul suo nome e fa dire al suo numero due, Matteo Richetti, che l’ex ministra «non è la nostra candidata. La scelta verrà fatta la prossima settimana con le federazioni».

Per Calenda, al momento, come già accaduto alle elezioni politiche, è molto più importante sabotare qualsiasi accordo a livello regionale tra Pd e Movimento 5 stelle. Far lanciare Moratti a Renzi e poi sacrificarla, per mostrarsi conciliante accettando un altro nome proposto dal Pd (l’ipotesi principale resta quella di Carlo Cottarelli), sembra un prezzo congruo se servirà a tagliare fuori il partito di Giuseppe Conte dalle prossime regionali.

E allora il Pd?

C’è chi sostiene che il Pd, che a Moratti fa opposizione ovunque, in qualsiasi luogo e sede, da quasi 30 anni, potrebbe turarsi il naso e votare Moratti per ottenere un doppio risultato: prendere la Lombardia (è dal 1992 che il centrosinistra non governa la regione), e assestare un colpo abbastanza forte alla Lega da far vacillare Matteo Salvini e far traballare, di conseguenza, anche il governo.

Vaste programme. Ma i sostenitori dell’ex ministra ricordano i tre sondaggi realizzati dalla società Winpoll e pubblicati tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno in cui Moratti è data vincitrice con qualsiasi combinazione: da sola o in coalizione, contro il centrosinistra o, dettaglio chiave, contro Fontana.

Sarà, ma il boccone rischia di essere semplicemente troppo amaro per dirigenti e attivisti. «Per noi il sostegno alla candidatura di Moratti non è opzione», ha detto il segretario lombardo del Pd, Vinicio Peluffo. Stessa opinione dalla federazione di Milano. «Noi siamo l’alternativa a entrambe le destre: sia quella di Attilio Fontana, della destra al governo del nostro paese, e sia quella di Letizia Moratti, che le milanesi e i milanesi conoscono molto bene», ha detto la deputata e segretaria cittadina Silvia Roggiani.

Per Pierfrancesco Majorino, eurodeputato, ex assessore di Milano e perenne enfant prodige del Pd milanese, l’ipotesi è surreale: «Son convinto che queste voci presto si scioglieranno come neve al sole». Ed è durissimo su quel che potrebbe accadere in caso contrario: «La dico chiara chiara, nero su bianco: se prevalesse un’idea simile, dovremmo costruire una lista e una candidatura alternativa, costi quel che costi».

Idea tattica brillante con potenziali risvolti nazionali o meno, il punto è che sembra semplicemente impossibile far digerire Moratti all’elettorato di centrosinistra. Ieri lo ha ripetuto anche un moderatissimo, come il sindaco di Milano Beppe Sala: «Non è semplicissimo spiegare all’elettorato di centrosinistra del perché Letizia Moratti possa essere candidata e perché noi non si possa avere un altro candidato». E se lo dice lui, che di Moratti è stato per anni manager al comune di Milano, probabilmente bisogna credergli.

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