Tre grandi città al primo turno, Milano Bologna e Napoli, una tripletta che fino a poco fa veniva considerata come un miraggio, dunque «un trionfo». Due risultati «piazzati» a Roma e Torino: nella Capitale Roberto Gualtieri passa al ballottaggio come trampolino per la vittoria finale, e nel capoluogo piemontese - insperatamente – il candidato “anti Cinque stelle” Stefano Lo Russo scavalla il primo voto ed è persino in vantaggio. Il seggio Toscana 12 per le suppletive è conquistato con un risultato solido, a metà spoglio è intorno al 50 per cento. E c’è pure un risultato commovente nell’altra suppletiva, la vittoria della battaglia di Primavalle, collegio Roma 11, dove il giovane segretario del Pd di Roma Andrea Casu si batte a mani nude in un seggio dato per perso, che invece espugna contro un vecchio arnese della destra come Pasquale Calzetta e l’ex presidente del Csm Luca Palamara, che ha fatto una clamorosa campagna imbottita di soldi eppure prende solo il 6 per cento. Per Enrico Letta non poteva esserci risultato più smagliante, oltre le più rosee speranze. E infatti quando si presenta alle telecamere all’Hotel Garden di Siena, dove ha installato il suo quartier generale, parla da leader laureato della coalizione vincente e non fa economia di entusiasmo: «Una grande vittoria del centrosinistra», annuncia, si vince «perché il Pd è rimasto unito» e «ha unito e allargato la coalizione», «siamo tornati in sintonia con il paese dovunque».

La laurea di leader

Il segretario è nel suo collegio, con i dirigenti locali e il presidente della regione Eugenio Giani; il gruppo dirigente del Pd è rimasto al Nazareno, non senza qualche malumore. Ma così anche plasticamente si vede che per quanto Letta eviti toni personalistici, è lui ad aver vinto la sua prima prova da segretario. Ha azzeccato la linea e ad ha avuto la fortuna di raccogliere la frantumazione delle destra. Ha vinto la sua idea di coalizione con i Cinque stelle, quella incarnata dai plebiscitati Matteo Lepore a Bologna e da Gaetano Manfredi a Napoli. Letta sa di averla perseguita nel solco della strada già tracciata dal suo predecessore: «Condivido questa vittoria con Nicola Zingaretti, che mi ha lasciato il testimone come segretario del Pd». Il presidente della Regione Lazio cinguetta in risposta: «Ennesima conferma! Il Pd unito, unitario e non isolato vince. Bravi i candidati e bravo Enrico Letta». Ma in realtà non è precisamente così: Letta oggi parla da leader dell’alleanza con i Cinque stelle. Sono dunque definitivamente seppelliti i tempi in cui Giuseppe Conte poteva aspirare ad essere «il leader del fronte progressista», come suggeriva proprio Zingaretti. C’è chi ora gli consiglia di capitalizzare il buon risultato puntando dritto al voto anticipato nel 2022. Ma non succederà: la condizione dell’appoggio incondizionato dei gruppi parlamentari (Letta torna alla camera da deputato «con emozione», dice) è arrivare a fine della legislatura.

Conte ci deve stare

La coalizione dunque c’è, o quasi. Conte dal canto suo non può sbracare da subito, ma è immediatamente della partita quando prima di partire per Napoli, si presenta ai cronisti della camera. I risultati del suo nuovo movimento sono scarsi, quando non sconfortanti come a Milano: «Avevo detto che ci avrei messo la faccia e sono qui. Questo è il momento della semina per M5s, siamo all’inizio di un nuovo corso». Non può promettere immediatamente l’appoggio a Gualtieri e a Lo Russo, ma qualcosa può dire subito: «È chiaro che i cittadini non possono essere considerati un pacco postale. Non c’è dubbio che la nostra forza politica non può avere alcuna affinità con le forze di destra», dunque «valuteremo se ci sono le condizioni per continuare un dialogo, ma non vorrei essere irriguardoso con i cittadini». A Roma per Gualtieri non sarà facile farsi votare dagli elettori di Raggi ma anche da quelli di Calenda, che pure gli aveva già promesso l’appoggio al secondo turno. Ma il problema che dovrà affrontare il candidato del centrosinistra romano è lo stesso di quello che, in scala nazionale, dovrà affrontare il segretario del Pd. «Le destre sono battibili», dice con convinzione. Ma per provare a battere le destre deve mettere insieme, nella stessa coalizione, grillini e calendian-renziani. Anche perché l’ex ministro dello Sviluppo economico spiega che il suo risultato, che pure è deludente per uno che puntava a diventare sindaco, «apre una fase di lavoro a livello nazionale». Insomma Calenda, che resterà europarlamentare, tenterà la strada che non è riuscita a Renzi – il quale adesso rivendica il successo dei suoi candidati e la sua parte nella vittoria del centrosinistra – quella di mettere insieme le forze del centro. Una necessità che vede anche Letta, che infatti lancia una lusinga all’ex cavaliere: «Senza Silvio Berlusconi federatore, il centrodestra non c’è». Con un risultato così Letta ora è davvero anche segretario del Pd. Seppellita definitivamente l’onta della defenestrazione del 2014: «Considero questo risultato il completamento della mia formazione politica». È il leader della coalizione: «Abbiamo ottenuto una grande vittoria che ci dà una grande responsabilità, una responsabilità storica. Dobbiamo gestire al meglio il consenso e la fiducia che gli italiani hanno deciso di darci». E oggi è forte anche dentro al suo partito, eterno tallone d’Achille dei segretari. Per questo rassicura la minoranza interna, quella del “partito di Draghi”: «La vittoria del centrosinistra rafforza il governo», dice. L’area del ministro Guerini e di Luca Lotti sigla la pace interna: ha vinto «un Pd unito, affidabile e serio che viene premiato per la responsabilità e la capacità di governo che ha mostrato in una fase particolarmente difficile della nostra storia nazionale», dicono Alessandro Alfieri e Andrea Romano, coordinatore e portavoce dell’area, «garanzia di realizzazione dell’agenda Draghi e che da oggi è il perno di un centrosinistra largo e riformista su cui costruire una proposta forte per il governo del paese nel 2023». Cinque stelle ma anche Renzi e Calenda, sarà il prossimo dilemma del segretario. Forse già a partire dalla elezione del nuovo inquilino del Colle.

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