Il «mite» Enrico Letta gioca di anticipo e al quarto giorno dall’elezione nomina la sua nuova segreteria.  E spiazza i suoi per i tempi e per il mix di di nuovi innesti e competenze consolidate, comprese quelle politiche. Per comporre la sua squadra ha pescato anche fra le correnti, ma ha scelto lui. Il messaggio, implicito ma ormai abbastanza chiaro, è che non si farà imporre agenda, nomi e scelte prestabilite. Proprio come ha fatto con l’ex ministro Roberto Gualtieri, di cui nella sostanza ha frenato la presentazione della candidatura a Roma per rimandare la scelta ad aprile, e solo dopo un confronto con il Pd cittadino e con le altre forze della coalizione. 

Ieri mattina Letta ha incontrato Carlo Calenda, candidato nella Capitale ormai da tempo a nome della sua «Azione». Si riapre dunque un dialogo con il europarlamentare fuoriuscito dal gruppo del Pd alla nascita del governo Conte II. Un dialogo fin molto tormentato, condotto a fasi alterne da parte del Pd zingarettiano. E’ vero che oggi le condizioni sono cambiate: Calenda era politicamente ostile a Conte e ai Cinque stelle. Oggi però anche Azione sostiene Mario Draghi. E infatti domenica scorsa, nel discorso all’assemblea nazionale, il segretario aveva parlato dell’ex ministro come interlocutore a pieno titolo del «nuovo Ulivo». Per questo non si è parlato solo della Capitale: «Abbiamo avviato un dialogo necessario su temi nazionali e locali», ha poi raccontato via twitter Calenda, «Molta sintonia sul governo Draghi e priorità per un’agenda riformista». Letta è andato nella sede di Azione, a Corso Vittorio, per il primo «di una serie di incontri», spiegano dall’associazione. 

In mattinata il neosegretario dem ha visto il presidente della Camera Roberto Fico e ha chiesto un incontro con la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati. Agenda fitta, a passo di carica, dunque. Nei prossimi giorni Letta incontrerà i gruppi parlamentari, quelli delle «tre camere». Inizia domani con il gruppo di Bruxelles, seguiranno quelli di camera e senato. A Bruxelles il capogruppo Brando Benifei convoca la riunione e si presenta dimissionario: «Per permettere le opportune valutazioni al segretario del mio partito e ai colleghi, alla luce della nuova fase politica», dice, «Credo che da parte mia, essendo stato eletto in un momento totalmente diverso dall’attuale, sia un atto doveroso soprattutto per rispetto del ruolo politico del nuovo segretario». Non è detto che Benifei non resti al suo posto. Ma al Nazareno il gesto è stato più che gradito, e molto apprezzato. Non c’è nessun automatismo, ma la scelta del giovane Benifei potrebbe portare alla stessa decisione anche i due capigruppo di Montecitorio Graziano Delrio e del senato Andrea Marcucci: due uomini forti, non allineati con la precedente segreteria (più vicino il primo, decisamente meno il secondo), che già all’arrivo di Zingaretti avevano rimesso il mandato nelle mani del nuovo segretario. Che gliel’aveva elegantemente fatto confermare. In ogni caso avrebbe avuto la forza e i numeri per fare diversamente. 

La nuova segreteria

Anche nella scelta della nuova segreteria c’è il segno di una certa quota di decisionismo. Otto uomini e otto donne, quasi tutti fra i quaranta e i cinquanta anni («politici adulti» è la definizione del Nazareno, cioè non giovanissimi e comunque esperti). In segreteria ci sono conferme e nuove entrate, il bilancino delle correnti è stato tenuto in conto ma il criterio principale è la competenza. Resta Stefano Vaccari all’organizzazione, già fedelissimo di Zingaretti, e Chiara Braga alla transizione ecologica. Resta anche Cecilia D’Elia alle politiche per la Parità, portavoce della Conferenza nazionale delle donne democratichee altra zingarettiana di lunga data.  Allo Sviluppo economico, Terzo Settore, e alla «missione» piccola e media impresa entra Cesare Fumagalli, già segretario nazionale di Confartigianato. La ‘liberal’ Lia Quartapelle agli Affari internazionali, il professore Antonio Nicita alle tecnologie e Piano Nazionale di Riforma e Resilienza, gli ‘orlandiani Anna Rossomando alla Giustizia e Diritti, e Antonio Misiani, già viceministro all’economia, sarà responsabile del settore. Dal governo Conte II viene anche l’ex ministro Francesco Boccia, già ministro per gli Affari regionali; si occuperà di Autonomie territoriali e Enti Locali. E dall’esecutivo precedente viene Sandra Zampa, ex sottosegretaria alla Salute e già portavoce di Prodi; si occuperà di Salute. Alle politiche per la sicurezza Enrico Borghi, della minoranza di area riformista, e alla «missione giovani» Chiara Gribaudo, parlamentare vicina ai Giovani turchi di Matteo Orfini. L’ex parlamentare Manuela Ghizzoni a Istruzione, Università e Ricerca, Susanna Cenni alle politiche agricole. Alla cultura Letta chiama Filippo Del Corno, compositore e assessore alla Cultura del Comune di Milano, uno dei protagonisti del mondo della cultura durante la pandemia. Allo sport  Mauro , ex commissario tecnico della Nazionale maschile italiana di Pallavolo. 

Nuove deleghe anche per i due vicesegretari nominati solo ieri. A Irene Tinagli va la missione «Italia globale». A Peppe Provenzano sono affidate le politiche del lavoro e il contrasto alle diseguaglianze, e la responsabilità della «prossimità», missione «trasversale» cui il nuovo segretario tiene molto. Competenza fortissimamente voluta da Letta ma oggetto misterioso, fin qui. Sul punto il Vademecum inviato alla discussione dei circoli in queste due settimane recita così: «Dobbiamo essere il partito della prossimità: il territorio sarà il nostro campo da gioco e su questo punto dobbiamo sfidare la Lega. Tra le principali sfide, i territori della montagna, in particolare le zone colpite dal sisma del Centro Italia, e tutto il mondo dell’agricoltura. Il Pd avrà un responsabile speciale delle politiche di prossimità con una missione trasversale. La prossimità si realizzerà anche attraverso la centralità del lavoro con sindaci e amministratori locali». 

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