«I rapporti con Giorgia Meloni sono eccellenti. Perché non dovrebbero esserli?». Così ha risposto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi intervistato da Nicola Imberti all’evento l’Europa di Domani. Sull’immigrazione non ci sono slogan o «grida manzoniane» ha detto il ministro ma «tracce tangibili di un progetto che funziona». Piantedosi ha rivendicato il Memorandum of understanding Ue-Tunisia e il protocollo con l’Albania. L’obiettivo del Mou con Tunisi è dare vita a «una collaborazione a 360 gradi» che avrebbe già iniziato a dare i suoi frutti, nonostante sono oltre 155 mila i migranti sbarcati da inizio 2023 in Italia. «Uno ha la contabilità di ciò che accade ma non di quello che è riuscito a evitare. Sono arrivati 150mila migranti, ma la Tunisia ne ha fermate almeno 60mila con tutte le difficoltà che ha il paese in materia di risorse e strumenti che stiamo cercando di colmare», ha detto il ministro.

Sulla deriva autoritaria intrapresa dal presidente della Repubblica tunisina Piantedosi ha detto che «non ci sono situazioni che ci inducono a non avere rapporti con quel paese». Negli ultimi due anni Kais Saied ha fatto arrestare centinaia di persone tra oppositori politici, giornalisti e attivisti che hanno provato a contestarlo. Le manifestazioni sono represse nella violenza e lo scorso febbraio Saied ha tenuto un discorso xenofobo contro i migranti di origine subsahariana che ha portato non soltanto a dei pogrom nelle città costiere dove la comunità è più folta, ma anche a delle vere e proprie deportazioni ai confini con la Libia e l’Algeria. Quest’estate centinaia di migranti sono morti di stenti nel deserto, dopo che sono stati abbandonati dalle autorità. Sul tema il ministro ha detto che «sono immagini di una tragedia umanitaria immane», ma anche che non è colpa solo delle autorità tunisine. In ogni caso, almeno da parte del governo italiano, «c’è un grande impegno che tiene conto anche della salvaguardia delle persone».

Il risarcimento alle vittime di Cutro

«Capisco la portata di quello che è successo. Lo stato non si è girato dall’altra parte nei confronti delle vittime di Cutro e non lo farà mai», ha detto il ministro. «Lo stato si è fatto carico del fatto che metà dei superstiti hanno chiesto di andare in altri paesi dai loro parenti. Altri hanno già ottenuto la protezione internazionale, altri si sono allontanati di loro spontanea volontà. Ne rimane solo uno che dobbiamo trattare. Lo stato sicuramente terrà conto dell’importanza sostanziale e simbolica di quell’evento e sicuramente ragioneremo in una logica di indennizzo per le vittime».

Il Cpr in Albania

Il ministro è intervenuto anche sul recente protocollo firmato a palazzo Chigi dalla premier Meloni e il suo omologo albanese Edi Rama. Un progetto che punta a trasferire circa tremila migranti al mese in una struttura simile a un Centro di permanenza per il rimpatrio da costruire in Albania. Numeri che presuppongono lo sforzo di almeno mille agenti di polizia che l’Italia non ha a disposizione. «È uno sforzo impegnativo, ma ci stiamo lavorando. Così come nei costi. È prematuro dare una risposto appropriata», ha detto Piantedosi. «Se funzionerà sarà giusto fare degli investimenti anche di una portata innovativa e importante».

Sul nodo giuridico: «In settimana ci sarà un incontro a livello europeo sul tema. La commissaria Johansson ha fatto capire che se tutto avviene in acque internazionali non coinvolgendo il territorio nazionale ed europeo, chiederebbe solo l’applicazione del diritto internazionale».

I Cpr in Italia

«Tutti si lamentano che siano liberamente circolanti soggetti che poi finiscono in situazioni pericolose. Quando le persone versano in condizioni di irregolarità nel territorio nazionale e sono riconoscibili come pericolosi, e vi è un provvedimento convalidato da un’autorità giudiziaria, non capisco quale sia la preoccupazione di ospitare nei territori centri di questo tipo», ha detto Piantedosi riferendosi ai dubbi dei sindaci riguardo ai nuovi Cpr che dovranno sorgere in ogni regione. 

Il ministro ha detto che al momento la prospettiva di lavoro prevede la creazione di almeno dieci siti e sono già partite le comunicazioni alle autorità territoriali. Ma «un Cpr non si fa in un mese o in due settimane, ma con tempi ragionevoli».

La violenza sulle donne

Il ministro ha risposto anche alle domande sui recenti casi di femminicidio. Nello specifico sul caso di un cittadino che avrebbe chiamato il 112 sentendo le urla di Giulia Cecchettin, uccisa da Filippo Turetta, ma senza ricevere risposta dalle forze dell’ordine. «Sarebbe pericoloso dare delle spiegazioni. È un caso per il quale sono state aperte delle valutazioni per verificare se ci sono degli elementi critici nella gestione dell’evento. Mi consentirà di concedere il beneficio del dubbio e della necessità di fare chiarezza. È una situazione che merita un approfondimento. Le forze di polizia e l’Arma dei carabinieri non si sono mai sottratti all’assunzione delle loro responsabilità», ha detto Piantedosi.

Ogni giorno in Italia 85 donne sono vittime di reati (violenze, abusi, stalking) e dall’inizio dell’anno sono 107 i femminicidi. Ma come si sta muovendo il governo per evitare casi simili? «Si può fare molto di più. La repressione è doverosa per delitti efferati come questi. Ci vuole un lavoro molto più ampio, più investimenti per risolvere aspetti critici nel rapporto tra generi. Non vi è dubbio che c’è qualcosa che non va nella cultura che porta certi individui ad alcuni comportamenti. La grande sollecitazione deve riguardare le istituzioni scolastiche. Serve una riflessione anche sociologica».

Stato securitario

Il decreto Caivano, invece, «non segue solo una logica securitaria» che da al minore un più facile accesso al carcere, ma l’obiettivo è «creare una responsabilizzazione». «Deresponsabilizzare i minori da una certa soglia di età in poi non è pedagogico», ha detto Piantedosi che nella stesura del decreto Caivano ha ammesso di aver seguito il parere dei tecnici che hanno evidenziato dei «coni d’ombra» sociologici.

Sul decreto Rave il ministro dice che sono stati fatti diversi passi in avanti. Dato che da dopo l’approvazione del provvedimento si sono tenuti zero rave nel territorio italiano contro una media di dieci che venivano organizzati ogni anno. 

L’intervista si è conclusa con una domanda sulla direttiva che vieta la trascrizione degli atti di nascita dei minori nati all'estero da famiglie omogenitoriali. «No, non sono pentito. Quella direttiva si limitava a ricordare all’ufficiale di stato civile quali erano i criteri stabiliti dalla legge, dalla Corte di Cassazione. Il legislatore potrà ritornarci sopra se vorrà».

© Riproduzione riservata