Segretaria Elly Schlein, l’ha colpita la reazione che c’è stata nel paese di fronte alla morte di Giulia Cecchettin? Cosa può fare la politica per contrastare il fenomeno dei femminicidi e la cultura patriarcale sottostante a questo crimine?
La politica può e deve fare di più contro la mattanza quotidiana di donne e di ragazze. Non basta la rabbia, la condanna, l’indignazione. Dobbiamo fare ancora molto per la prevenzione per il contrasto alla violenza di genere. È stata appena approvata in Senato, con l’appoggio di quasi tutti i partiti, una legge che affina gli strumenti del Codice rosso. Ma sappiamo già che non è sufficiente. Il Pd ha tenuto un’assemblea di ascolto dei centri antiviolenza: non si può prescindere dalla loro esperienza e dalla loro conoscenza per costruire un percorso credibile. Prevenzione significa anche formare gli operatori, le forze dell’ordine, le autorità giudiziarie. Ma servono le risorse necessarie. Alla presidente Meloni ho chiesto di trovare un terreno comune per far fare un salto in avanti al paese, perché non ci sia mai più una donna che, quando denuncia, non sia presa sul serio dallo stato.

Per ora, questo governo ha tagliato le risorse sulla prevenzione e sui centri antiviolenza. Tra lei e Meloni c’è stata una telefonata sulla battaglia da fare. Cosa vi siete dette?
Per il momento abbiamo ottenuto una prima apertura sulla formazione, ma mancano investimenti adeguati. Sull’educazione all’affettività, che consideriamo strumento fondamentale, siamo ancora distanti: al Senato non è stato approvato un ordine del giorno delle opposizioni. Le ho proposto una legge che renda l’educazione all’affettività obbligatoria in tutti i cicli scolastici, non facoltativa o extracurriculare come previsto dal piano del ministro Valditara.

Meloni le è sembrata disponibile a una legge di questo tipo? La Lega ha definito solo l’ipotesi “una porcheria”.
Deve chiederlo a lei. É presto per dire se c’è una disponibilità effettiva. Quanto accaduto a Giulia Cecchettin sta smuovendo il dibattito e la partecipazione dei cittadini. Prevenire e contrastare è una responsabilità collettiva, ma prima di tutto degli uomini. Chiediamo anche da parte loro una partecipazione forte alla rivoluzione culturale necessaria a contrastare il fenomeno.

Alcuni leader non andranno al corteo di Non una di meno (oggi a Roma e Messina, ndr). Forse sono in imbarazzo per la piattaforma delle associazioni (in primis “Non Una di Meno”), che chiedono che l’Italia smetta di «schierarsi in aperto supporto dello stato coloniale di Israele, che appoggia di fatto il genocidio in corso del popolo Palestinese». Lei ci andrà?
Il Pd ha sempre partecipato al corteo del 25 novembre, la giornata contro la violenza maschile sulle donne, e parteciperà anche quest’anno. Io la mattina sarò a Perugia (al congresso di Sinistra italiana, ndr), cercherò di arrivare a Roma nel pomeriggio. Il Pd non ha alcun imbarazzo, perché ha una posizione chiara sul conflitto nel Medio Oriente: chiediamo il cessate il fuoco umanitario e di liberare gli ostaggi senza condizioni. E aiuti umanitari per il popolo palestinese, che viveva in condizioni drammatiche anche prima dell’attacco terroristico del 7 di ottobre. Nessuna ambiguità. E non accettiamo di farci trascinare nelle polemiche.

Domani ha rivelato che il consigliere del ministro dell’Istruzione Valditara, Alessandro Amadori, è autore di libri sessisti dal titolo La guerra dei sessi e Il diavolo è anche donna. Collabora al progetto “Educare all’affettività”. Con un esperto così, il governo è credibile nella lotta al patriarcato e ai femminicidi?
Dopo aver letto Domani abbiamo presentato un’interrogazione. Non sono io al governo, non decido quali esperti chiamare, noi siamo all’opposizione, e abbiamo le idee chiare su quello che è utile e quello che non lo è.

La legge di Bilancio è stata rimandata dall’Europa e bocciata dall’Fmi, che ne ha criticato la visione corta e i rischi di una mancata crescita. Lei, fosse stata premier, che ricette economiche avrebbe proposto?
La finanziaria è iniqua e colpisce tutte le generazioni. Noi abbiamo presentato una manovra alternativa, contenuta in oltre mille emendamenti depositati al Senato. Abbiamo indicato tutte le coperture. Sulla sanità i numeri sono nero su bianco. Con le altre opposizioni chiediamo di mettere 4 miliardi in più dall’anno prossimo, per sbloccare le assunzioni: mancano 30 mila medici e 70mila infermieri. Chiediamo di mettere 600 milioni sulla non autosufficienza, e attenzione alla salute mentale. Meloni dice che correggerà alcuni aspetti: stiamo ancora aspettando. Abbiamo proposto il salario minimo, lo potremmo approvare domani a costo zero.

Anche una parte degli elettori di destra sembrerebbe favorevole al salario minimo. Il no di Meloni è ormai una questione di principio?
Direi che è una questione ideologica. Fatto sta che alla destra sembra star bene che ci siano 3,5 milioni di lavoratori con stipendi da fame. Anche la Cassazione ha stabilito che la contrattazione collettiva va rafforzata e che bisogna fissare una soglia sotto la quale non può scendere. In tutti i paesi dove è stato introdotto un tetto minimo non si è avuto alcun effetto negativo sull’occupazione generale. La manovra, inoltre, aumenta le tasse sui prodotti femminili e per l’infanzia, e tradisce le promesse sugli asili.

Nonostante flop e polemiche, i sondaggi indicano una maggioranza ancora solida. Andiamo verso le Europee, il Pd è inchiodato al 18 per cento. Cosa manca al centrosinistra non riesce a presentarsi ancora come un’alternativa credibile alle destre? Con il M5S su molti punti sembrate ancora molto distanti e conflittuali.
A leggere quello che dicevano i sondaggi, io non avrei mai vinto le primarie del Pd. Penso che la manifestazione di piazza del Popolo ha dimostrato che c’è una grande partecipazione popolare al nostro nuovo progetto. E, in otto mesi, da parte mia non c’è stata nessuna polemica contro un altro leader di opposizione: non è un caso, è una scelta. Certo che ci sono alcune difficoltà. Ma se la nostra gente ci vede litigare, non viene nemmeno a votare. Io sento questa responsabilità. Ma credo che le destre siano battibili se siamo uniti: l’esempio è quello di Foggia, con la vittoria di Maria Aida Episcopo. Il Pd non ha presunzione o arroganza, ma è la prima forza dell’opposizione: non c’è un’alternativa senza di noi.

A Foggia però ha vinto una sindaca vicina al M5s, e in Sardegna la candidata presidente scelta, Alessandra Todde, è del Movimento, tra l’altro senza primarie. Non siete troppo generosi con Giuseppe Conte?
Stiamo lavorando per costruire delle candidature credibili, molte sono del Pd. In ogni appello pubblico chiedo alle opposizioni di lavorare insieme sui programmi. In Abruzzo le opposizioni sono unite. Questa è la strada.

Qualcuno crede che l’azzardo di Meloni sulla riforma istituzionale, con l’elezione diretta del presidente del Consiglio, sia pericolosa per gli equilibri democratici. Ma che un “fronte del No” potrebbe contemporaneamente compattare un’opposizione a volte sfilacciata. È così?
Acclamare un capo ogni cinque anni non è democrazia. Questa riforma indebolisce il parlamento e intacca le prerogative del presidente della Repubblica. Noi abbiamo fatto proposte costruttive: alcune miglioravano la stabilità, come la sfiducia costruttiva. Alla premier ho proposto di cambiare la legge elettorale e togliere le liste bloccate. Ma lei ha un partito personalistico e vuole decidere chi va in parlamento.

Da qualche tempo all’interno delle correnti del Pd il fuoco di fila contro di lei sembra attenuato. In molti temono sia una pace armata, e che se alle Europee non prendesse il 23 per cento lei dovrà lasciare la guida del partito.
Facciamo uno sforzo per tenere insieme la nostra comunità su argomenti concreti. Non sono mai stata appassionata alle asticelle, non ci interessa di competere con le altre opposizioni sullo zero virgola, ma per aumentare la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Alle Europee si gioca il futuro del continente. I nazionalisti lavorano contro il Next Generation Eu, la transizione ecologica e l’accoglienza. Meloni e Salvini pensino ad attuare il Pnrr, 200 miliardi che rischiamo di perdere perché non è una loro bandierina. Noi combatteremo per la transizione ecologica, per un’Europa della solidarietà e contro i paradisi fiscali per le multinazionali. Proviamo a mettere l’occhio lì e smettiamo di accanirci con chi arriva con i barconi.

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