Tutto il governo Meloni sta seguendo con preoccupazione vera il declino della salute di Silvio Berlusconi, a cui tutte le componenti del centrodestra riconoscono il ruolo di federatore del centrodestra. Una fetta di storia che gli azzurri – nel mezzo di una giornata fatta di comunicati di auguri e telefonate private alla famiglia al San Raffaele di Milano – definiscono «fondamentale e determinante» per l’ascesa della stessa Giorgia Meloni e di cui anche Lega e Fratelli d’Italia riconoscono l’importanza.

La preoccupazione, però, è principalmente «umana», come la descrive un esponente dell’esecutivo. Politicamente, infatti, le uniche fibrillazioni si registrano tra le file di Forza Italia. Nulla, se non appunto l’apprensione per un leader dalla grande carica umana, si percepisce a livello di governo, che invece è preso da questioni ben più terrene: dai rischi per il Pnrr alla questione ancora aperta in Europa sui migranti, con il dl Cutro slittato nell’approvazione finale a dopo Pasqua.

La vera questione che si aprirà per Meloni non è infatti tanto quella del futuro di Forza Italia, ma quella del nuovo corso di Fininvest. La linea di Berlusconi è sempre stata un impasto di interessi, con quello politico che correva in parallelo con quello delle sue aziende. L’Italia degli anni Ottanta in cui il Cavaliere ha coltivato il suo mito, però, era quella dei grandi colossi statali, dall’Iri alla Rai. Per questo l’intuizione, allora, era stata la discesa in campo, dando alle sue aziende e in particolare a Mediaset un nuovo asset chiamato Forza Italia. «Oggi questo mondo non c’è più e dal 2011 in poi la logica non è più stata quella espansiva, ma di tenuta di un perimetro di interessi», spiega un conoscitore delle aziende della famiglia Berlusconi. Quello stesso perimetro di interessi che Forza Italia, pur con il suo costante calo di consensi, ha mantenuto anche nell’attuale esecutivo. A partire dal fatto che la casella chiave del sottosegretariato dell’Editoria, in tutti i governi di centrodestra, sia appannaggio berlusconiano: oggi con Alberto Barachini, ieri con Giuseppe Moles e Paolo Bonaiuti.

Lo schema, tuttavia, si poggiava su un punto di equilibrio che era la figura del capo, che con una mano gestiva le aziende e con l’altra il partito e i rapporti con il governo. Un capo, però, che non ha mai voluto veri successori e proprio questo impone un equilibrio nuovo tra le aziende e il governo. «L’unica che avrebbe incoronato sarebbe stata la figlia Marina», dice un ex berlusconiano che fu tra i fondatori del partito nel 1994.

I figli

Marina, primogenita di Berlusconi e presidente di Fininvest e del gruppo Arnoldo Mondadori Editore, sarebbe stata l’unica in cui il padre riconosceva l’indole giusta per prendere in mano la sua creatura politica, in un passaggio dinastico che avrebbe rispecchiato la forma di un partito che non ha mai celebrato congressi. Tuttavia, nessuno dei figli nè di primo letto – Marina e Piersilvio – nè di secondo – Barbara, Eleonora e Luigi – ha mai davvero guardato con interesse a Forza Italia. Di più, negli ultimi anni di tramonto elettorale è stato considerato uno dei crucci da togliere al padre sempre più anziano, oltre che un asset poco produttivo e anzi piuttosto costoso, visto l’indebitamento per 90 milioni garantito da due fideiussioni personale Berlusconi. Un tentativo era stato fatto anche con Luigi, il più piccolo ma anche il più promettente dal punto di vista imprenditoriale secondo chi frequenta Arcore. Anche lui, pur essendosi messo accanto la storica segretaria del padre, Marinella, ha espresso più che disinteresse per la politica, con gran dispiacere del padre.

Per questo, la prospettiva dei figli viene riassunta con due parole da chi osserva i movimenti aziendali: «snellimento e liquidazione». Marina Berlusconi, spiegano, è un’imprenditrice che ragiona secondo i criteri di utile e perdita e, in vista della successione, la domanda è una: cosa crea valore in azienda, in relazione a quanto costa?

Proprio alla luce di questo, la figlia maggiore avrebbe progressivamente messo a punto un modo per succedere al padre, ma alle proprie condizioni. La linea di contatto tra lei e la premier Meloni è aperta e personale, la svolta governista ha riportato al tavolo delle trattative coperte per le nomine del govenro il fedelissimo Gianni Letta. Nessuna discesa in campo, dunque, ma contatti stretti e trasversali, facilitati oggi e per tutta la durata del governo dalla presenza dei ministri azzurri e del drappello di parlamentari eletti. Che da Berlusconi hanno ricevuto l’ultimo regalo, con l’8 per cento a FI che ha consentito loro di tornare in parlamento per altri cinque anni. Poi si deciderà il futuro di FI o di quel che ne resta, esattamente come per ogni società: confrontando utili e perdite.

«La chiave per capire il futuro è la vendita del Giornale», viene suggerito. In altre parole: dimenticate le questioni di cuore per il giornale di famiglia, un’azienda poco produttiva viene venduta, pur mantenendo una quota di minoranza. Un ragionamento che potrebbe riguardare anche altri asset, a partire da Mediaset – ora MediaforEurope con sede in Olanda – per cui l’interessamento del francese Vincent Bollorè è noto.

L’obiettivo dei cinque figli sarebbe quello di capitalizzare per guardare a nuovi business. Allontanando così ulteriormente il peso per le dinamiche politiche italiane. Su cui continuerà ad essere bene tenere una visione privilegiata e allineata con il governo, ma tenendo a mente che il mondo è cambiato.

 

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