Nel mondo dominato dai dottor Stranamore sono diventati normali linguaggi e logiche che sarebbero risultati inaccettabili solo poco fa. Sono cadute, definitivamente, linee rosse che avevano regolato i comportamenti anche durante le guerre. Non esistono più salvacondotti, nessuno spazio per qualunque pietas, nessuna zona franca. Si spara sui cimiteri, sugli ospedali. Si spara sulla Croce Rossa. E non vengono risparmiate nemmeno le rappresentanze diplomatiche.

Il passo ulteriore a cui assistiamo in questi giorni è la legittimazione strisciante e senza scandalo dell’azione terroristica. Non sappiamo quando avverrà, ma avverrà. Nella rassegnazione universale e nella riabilitazione della legge del taglione. L’Iran ha subito l’onta dell’attacco israeliano a una sua sede consolare in Siria e sembra in qualche modo “giusto” che debba reagire per salvaguardare il proprio prestigio nazionale. Gli Stati Uniti lanciano l’allarme su cento missili degli ayatollah pronti all’uso e, con una serie di perifrasi, lasciano intendere che visto l’ineludibilità della ritorsione, la facciano in modo limitato, “ragionevole”, per non alzare il livello di scontro e scongiurare l’allargarsi incontrollabile del conflitto in Medio Oriente. Una dose metadonica di ordigni, schiaffo ricevuto, schiaffo reso e così siamo pari. Persino Israele si prepara a subire l’attacco senza lanciarsi in qualunque deterrenza preventiva, accettando così la dialettica dell’occhio per occhio, purché proporzionata, una sorta di “picchiate ma solo un poco”.

Inerzia bellicista

Il guaio è che non esiste nessuna narrazione alternativa a questa inerzia della storia, come se la corsa bellicista avesse ormai preso un abbrivio inarrestabile e la concatenazione dei fatti dovesse portare alle conclusioni più nefaste. Succede quando, uno dietro l’altro, si violano i tabù e qualunque atto diventa possibile, in assenza di un’autorità universalmente riconosciuta capace di far rispettare leggi, scritte o meno, che avevano disciplinato i rapporti tra le nazioni. È la diplomazia la vittima illustre del nostro presente, ben rappresentata dallo stato comatoso delle Nazioni Unite che ormai nemmeno ci provano a mediare, visto che i dottor Stranamore si fanno beffe di qualunque risoluzione e figurarsi delle raccomandazioni. Né possono le iniziative velleitarie di questo o quel leader più o meno neutrale, sconfessate sul terreno dall’infuriare delle battaglie; o le conferenze di pace sul modello di quella annunciata in Svizzera per l’Ucraina a cui mancherà la Russia. Come dire: giochiamo una partita ma senza una squadra in campo.

L’abisso

Se proprio dobbiamo trovare una logica al meccanismo azione-reazione innestato in Medio Oriente, va cercata nel timore inespresso di un’escalation nucleare tra uno stato che possiede la bomba (Israele) e uno probabilmente prossimo a confezionarla (l’Iran): la madre di tutti gli incubi, lo scontro diretto tra due potenze regionali da decenni in rotta di collisione annunciata.

Dal 7 ottobre scorso, dalla carneficina nei kibbutz, sul punto di ricorrere alle maniere spicce, alla resa dei conti finale sinora evitata per le briciole di ragionevolezza rimaste nelle tasche dei rispettivi governanti e di cui pare finita la scorta. Ora, in un salto di qualità evidente, siamo all’accettazione del pareggio dei conti in sospeso. Senza valutare che la spirale innescata non è controllabile, nulla è controllabile dopo che si è sparato il primo colpo come dimostra ampiamente la storia dei conflitti.

E fosse solo una la guerra in atto. Siccome tutto si tiene, l’assuefazione alla dittatura delle armi si è acuita in Ucraina, ormai oltre due anni fa, quando una potenza ha intrapreso una campagna di aggressione, conquista e annessione, sfatato almeno verbalmente taciti accordi come il “mai più” circa l’uso dell’atomica, liberato demoni che hanno preso a girovagare per il pianeta, sdoganato comportamenti poi scimmiottati altrove una volta che ne è stata comprovata l’impunibilità.

All’abisso mancano pochi passi. Siamo ancora in tempo per tornare indietro. Poco tempo, però.

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