Immagino che una buona parte, sicuramente maggioritaria, di coloro che hanno votato Elly Schlein stiano assistendo con amarezza e irritazione (che condivido) all’abbandono del partito ad opera di alcuni dirigenti dem e dei loro seguaci.

Il precedente di coloro che perdono e se ne scappano con il pallone dopo avere giocato, non del tutto meritatamente, in ruoli di rilievo, esiste, ma visibilmente non ha dato vita a nulla che assomigli a una prospettiva riformista. Ho molto apprezzato il discorso di concessione della vittoria effettuato a caldo la sera stessa da Stefano Bonaccini. Apprezzo molto meno le indiscrezioni che lo danno in attesa di un ruolo di rilievo nel partito.

Non sarebbe preferibile che continuasse a dedicare le sue energie al buongoverno di quella regione importante che è l’Emilia-Romagna e che, evitando di cumulare cariche, si accordasse su un nome di suo gradimento per il ruolo operativo che la segretaria intendesse affidare alla sua (di Bonaccini) area?  

Se, poi, i democratici in (cattivo) odor di abbandono alzassero gli occhi, si renderebbero conto che i commentatori di ogni ordine e grado che stanno prematuramente plaudendo all’espressione del loro disagio e dissenso non lo fanno perché desiderano la nascita di un “vero” partito riformista e liberale (qualcuno potrebbe anche, per carità, spiegarmi che cos’è un “falso” partito riformista?), ma perché semplicemente mirano a indebolire il Pd e la sinistra in Italia.

Né ieri né l’altro ieri, potrei anche scrivere mai, le scissioni hanno portato a qualcosa di buono, non per chi lascia e neppure per chi resta. Qualche briciola elettorale non cambierà in meglio le sorti del sedicente terzo polo a meno di profonde e imperscrutabili innovazioni politiche e culturali.

Contro chi?

Quello che risulta ancora più preoccupante è che gli esodanti non possono, al momento, riferirsi a nulla di particolarmente concreto, spiazzante e sgradito già fatto da una segretaria che deve essere incoronata domenica prossima. Dunque, non sono le sue azioni e neppure le sue proposte, grazie alle quali ha vinto la carica, a spingere alla fuoruscita, non sono atteggiamenti sprezzanti, ma il suo essere quello che è: una donna di sinistra che vuole rivitalizzare un partito ripiegato su sé stesso aprendolo alle donne, ai giovani e ai precari, intesi in senso molto lato come coloro che non vedono opportunità.

Invece, alcuni dei fuoriuscenti che, certo, non definirò eccellenti, hanno molto goduto di opportunità concesse loro proprio dal Partito democratico. Peccato che non abbiano più fiducia nelle loro capacità di argomentazione e di formulazione di linee alternative. Peccato che non sappiano che un po’ dappertutto nei partiti, più spesso in quelli di sinistra il cui seguito è alquanto eterogeneo, si aggregano opposizioni alla linea ufficiale senza dannosi deflussi. Peccato, infine, che troppe delle loro lamentele ricalchino le critiche a Elly Schlein che sono subito venute dal centro-destra, salotti televisivi, editorialisti, politici “affermati” e in carriera.

Non so quanto Schlein sarà in grado di mantenere quello che ha promesso, ma sono convinto che il tentativo di cambiare il Partito democratico debba essere esperito, magari con le opportune correzioni che gli oppositori interni siano in grado di argomentare e suggerire. Da ultimo, indebolire il Pd significa aprire altri spazi al governo di centro-destra e ridimensionare le possibilità di rappresentanza politica, di interessi e di preferenze, proprio di quella parte di italiani che ne hanno maggiormente bisogno. Un capolavoro di riformismo.

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