Antonio Tajani parla di Hamas. Affronta il tema della crisi in Medioriente, illustra gli sforzi diplomatici in corso per la liberazione degli ostaggi e delle iniziative per fermare lo spargimento di sangue a Gaza, dopo gli attentati in Israele. E tranquillizza anche gli italiani: «Non ci sono minacce vere di attentati terroristici». Il ministro degli Esteri si muove in lungo e in largo, nel rispetto del suo mandato.

Un rifugio utile in queste ore di travaglio. Ma tra un incontro e l’altro, deve tornare sul pianeta terra, pensare alle piccole questioni italiane, facendo i conti con i rapporti nella coalizione ormai al limite del collasso. Soprattutto con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Oltre alla Farnesina ha insomma il compito di gestire Forza Italia, partito di cui è il segretario.

Sotto attacco

Tajani si sente sempre più vaso di coccio tra vasi di ferro. Il rischio è che a rimetterci nello scontro possa essere proprio lui. I problemi sono vari e intricati. Da una parte, come è noto, c’è Meloni infuriata con Mediaset, e di conseguenza con Fi, per il caso dei fuorionda su Andrea Giambruno; dall’altra c’è l’azienda di Cologno Monzese, della famiglia Berlusconi, che vuole conservare una protezione politica dal partito.

In mezzo c’è la schiera di avversari interni, in una Forza Italia che vive lo stato di agitazione permanente dopo la morte del fondatore. I detrattori di Tajani vedono, in questa confusione generale, l’occasione buona per detronizzare il segretario. Il ministro si trova a fare l’equilibrista, attinge dal suo bagaglio di esperienza da moderato per provare a placare gli animi decisamente surriscaldati.

La video-sfuriata di Meloni, in onda domenica al teatro Brancaccio, è un termometro dell’umore di una leader sull’orlo di una crisi di nervi. Ha deciso di chiudersi nel bunker e caricare a testa bassa, ascoltando solo chi proviene dalla sua famiglia politica.

Ce l’ha con tutti, alleati compresi, in testa Forza Italia. Le parole di Giovanni Donzelli, responsabile organizzativo di Fratelli d’Italia, sono un sinistro monito per Mediaset e a cascata per gli azzurri. «Guardiamo con attenzione a tutte le aziende strategiche, non a Mediaset in particolare», ha detto il dirigente di Fdi. Dunque, nessun riguardo per il Biscione.

Parole che se fossero state pronunciate da un leader di sinistra, avrebbero fatto scoppiare il finimondo. Quello di Donzelli non è stato un ragionamento dal sen fuggito, magari in un momento di turbamento per l’assenza della premier alla festa dell’anno di governo. Agli atti non risultano smentite o parziali rettifiche. La famiglia Berlusconi è insomma avvisata.

Ad acuire le tensioni si è messo pure il sottosegretario forzista, Alberto Barachini, che ha nominato Giuliano Amato alla presidenza della cosiddetta commissione algoritmi, istituita per studiare l’impatto dell’intelligenza artificiale sul settore editoriale. Meloni ha fatto trapelare, attraverso l’Agi (agenzia di stampa molto vicina a Palazzo Chigi), la propria «irritazione» per il profilo scelto. Si tratta del segnale che non è disposta più a fare concessioni, nemmeno su questioni minori, come appunto un organismo consultivo sull’intelligenza artificiale.

Exit strategy

Tajani sta cercando la strategia giusta per evitare ulteriori scontri. Ha già fatto pervenire messaggi di pace a Palazzo Chigi, giurando che dietro l’affaire-Giambruno non esiste una regia politica, tantomeno un’operazione ascrivibile al suo partito. Il ministro degli Esteri ha ribadito a ogni interlocutore, che era all’oscuro dei fuorionda in possesso di Striscia la notizia.

Il segretario di Fi ha una corsia preferenziale con Marina Berlusconi, con cui ha un buon rapporto consolidato negli ultimi mesi. La presidente di Mondadori, però, non è intenzionata a fare da mediatrice con la premier, crede che non sia un suo compito. Deve vedersela Tajani. I risultati sono scarsi, vista la reazione di Donzelli. Così non manca una certa inquietudine su possibili avvicendamenti. Si guarda con sospetto alla rientrante Letizia Moratti, che non piace a molti ma se la decisione arriva dai Berlusconi c’è poco da fare.

Su un piano politico, tra i fedelissimi di Tajani si fa professione di ottimismo: sono certi che le nubi spariranno nei prossimi giorni. Il motivo è nei numeri. Piaccia o meno, Forza Italia è decisiva per la maggioranza in parlamento, la rottura aprirebbe scenari impensabili e poco convenienti per tutti. Ma nella partita a scacchi che si gioca al momento nei discorsi privati, i falchi della cerchia meloniana ipotizzano un’opa ostile nei confronti degli azzurri.

Come? Prendendosi prima pezzi di classe dirigente, inclusi parlamentari, e poi assestando il colpo nelle urne, già dalle prossime Europee con una campagna elettorale aggressiva. Meloni aveva chiesto di non avvicinare i forzisti per portarli nel suo partito per non creare un effetto destabilizzazione. L’orientamento - è la tesi di alcuni esponenti di Fdi - dovrebbe cambiare, e smantellare il partito berlusconiano. A favorire la strategia di attacco ci sono i problemi interni a Forza Italia, a causa di una leadership poco salda. «Dopo la morte di Silvio Berlusconi, i rapporti con la famiglia sono ancora in via di definizione».

Tra i parlamentari c’è chi si rivolge alla figlia del fondatore Marina, chi cerca il fratello Paolo, altri ancora si rivolgono a Fedele Confalonieri. Un grande caos che indebolisce il partito e soprattutto Tajani che lo guida. «Per fortuna che ha vinto Galliani a Monza», è la consolazione che circola tra i forzisti.

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