«Siamo di fronte a una situazione durissima, siamo di fronte a un altro terremoto», sono senza scampo le parole del presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, mentre parla accanto al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. La macchina della Protezione civile della regione e di quelle confinanti è a motori avanti tutta, sono desolanti le immagini di un pezzo del paese sott’acqua.

Ma a non lasciare speranza è la sensazione di averle già viste giusto lo scorso primo maggio e troppe volte prima; e la sensazione di poterle rivedere. Un consiglio dei ministri è convocato per martedì prossimo, c’è un commissario alla siccità, si chiama Dall’Acqua, scherzo amaro del caso che mette insieme le due facce del cambiamento climatico, perché, spiega l’ambientalista Roberto Della Seta, «se il nostro territorio è storicamente costruito troppo e male, è ormai chiaro che la crisi climatica aggiunge il rischio di siccità ed alluvione», nonostante il negazionismo di governo che oggi si dichiara angosciato ma poi in Europa vota contro la messa in efficienza energetica degli edifici e no allo stop a benzina e diesel dal 2035. E questa non è un’altra storia.

Bonaccini e il suo collega delle Marche Acquaroli sono commissari per le emergenze alluvionali delle loro regioni, oggi c’è un ministro della protezione civile, Nello Musumeci, una specie di doppione del capo del dipartimento; il che non aiuta quando la velocità salva le vite. Ma nessun amministratore delle zone alluvionate in questo momento ha tempo per le polemiche.

La struttura c’era

Al netto degli sforzi straordinari, che arriveranno, la Protezione civile ha a disposizione un miliardo per la ricostruzione e il ristoro delle famiglie e delle attività travolte dall’emergenza, ma solo 18 milioni alla voce prevenzione.

All’Italia, dunque, manca una struttura nazionale per mettere in sicurezza un paese bello e fragile, minato dal dissesto idrogeologico. Manca cioè, o è palesemente scarsa, la parte del “prima”. C’era, però. Italia sicura, così si chiamava, nasce il 27 maggio 2014.

Al suo vertice il premier Matteo Renzi mette Erasmo D’Angelis, già Legambiente e esperto di infrastrutture idriche. «L’idea era la prevenzione come investimento», racconta, «impegnando tutta la filiera della pubblica amministrazione. L’obiettivo era ridurre in 15 anni l’esposizione ai pericolo».

Come: «Coordinando ministeri, regioni, enti e territoriali, creando un unico sistema di monitoraggio dai 30 del paese, creando il primo database delle opere del “Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico”. Definendo un piano di opere, oltre 10mila interventi per 33 miliardi. Per velocizzare e semplificare chiedemmo la nomina a commissari di governo tutti i presidenti delle regioni. Aprimmo o riaprimmo 1.445 cantieri. Tutto verificabile, bastava un clic su un portale. Per il finanziamento avevamo scovato nei ministeri fondi non spesi per il dissesto negli anni 2000-2014 per 2,3 miliardi, rimessi in budget. I governi Renzi e Gentiloni ne aggiunsero altri 6. Avevamo anche predisposto un prestito Bei di 1,1 miliardi lasciato cadere».

Finì in una notte, alla nascita del governo Conte uno. Il ministro dell’Agricoltura Centinaio aveva ricevuto deleghe importanti e allora il ministro dell’ambiente Costa volle annettere al suo dicastero la struttura. Conte lanciò il piano “Proteggi Italia”, di cui poi si perse traccia. L’Agenzia Europea per l’Ambiente nel 2017 ha dichiarato Italia sicura una delle tre best practice della prevenzione in Europa.

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