Andrea Delmastro Delle Vedove non ha ancora chiuso i conti con la giustizia. Lo ha deciso il gip di Roma, che ha decretato l’imputazione coatta per il sottosegretario alla Giustizia. Secondo fonti di palazzo Chigi, la decisione fa il paio con quella dell’indagine sulla ministra del Turismo Daniela Santanchè, che poco dopo l’informativa in cui sosteneva di non essere indagata è stata smentita dalla procura di Milano.

«In un processo di parti non è consueto che la parte pubblica chieda l'archiviazione e il gip imponga che si avvii il giudizio. In un procedimento in cui gli atti di indagine sono secretati è fuori legge che si apprenda di essere indagati dai giornali, curiosamente nel giorno in cui si è chiamati a riferire in Parlamento, dopo aver chiesto informazioni all'autorità giudiziaria. Quando questo interessa due esponenti del governo in carica è lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione. E abbia deciso così di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee».

Delmastro era stato indagato per violazione di segreto d’ufficio dopo che aveva condiviso con il suo coinquilino – Giovanni Donzelli, responsabile territori di Fratelli d’Italia – una serie di relazioni di servizio, cioè riproduzioni scritte dei colloqui avvenuti in carcere e ascoltati dagli agenti penitenziari. Informazioni che poi erano state utilizzate da Donzelli in un intervento d’aula sul caso Cospito in cui aveva attaccato direttamente il Pd, dopo che una delegazione dem aveva fatto visita all’anarchico recluso al 41bis. Il deputato aveva accusato i colleghi di «stare dalla parte dei terroristi con la mafia».

Il caso era finito anche all’esame della magistratura per un esposto del leader dei Verdi Angelo Bonelli: la procura aveva scelto di chiedere l’archiviazione in assenza dell’elemento soggettivo del reato, «determinata da errore su legge extrapenale». Tradotto, il fatto, cioè l’esistenza oggettiva della violazione del segreto d’ufficio, esisteva oggettivamente, ma Delmastro non aveva consapevolezza del reato. Secondo quanto deciso ieri dal gip, invece, sussisterebbero sia l’elemento oggettivo che quello soggettivo: una condizione che permette l’imputazione coatta anche contro la raccomandazione della procura. Se poi effettivamente Delmastro dovrà andare a processo sarà deciso in una prossima udienza del gup.

Una lista di problemi

La notizia è una nuova tegola sul governo Meloni, già in grosse difficoltà dopo l’informativa – smentita a poche ore di distanza – della ministra Daniela Santanchè, per cui le opposizioni chiedono le dimissioni. Dopo la conferma da parte della procura di Milano del fatto che la ministra è indagata, M5S e Pd hanno scelto di votare una mozione di sfiducia. Adesso la situazione potrebbe precipitare. Il sottosegretario, che aveva già creato con la sua gestione superficiale del segreto amministrativo grossi imbarazzi al ministro della Giustizia Carlo Nordio, ha promesso di difendersi ulteriormente di fronte al gup. «Prendo atto della scelta del gip di Roma che, contrariamente alla procura, ha ritenuto necessario un approfondimento della vicenda giuridica che mi riguarda. Avrò modo, davanti al giudice per l'udienza preliminare, di insistere per il non luogo a procedere per insussistenza dell'elemento oggettivo, oltre che di quello soggettivo. Sono fiducioso che la vicenda si concluderà positivamente, convinto che alcun segreto sia stato violato, sia sotto il profilo oggettivo che sotto il profilo soggettivo».

A sua difesa si sono raccolti i compagni di partito, come il capogruppo alla Camera Tommaso Foti: «Siamo stupiti dalla decisione del gip. Ed è uno stupore più che motivato se solo si pensa che la procura di Roma aveva chiesto l’archiviazione del procedimento». Anche a palazzo Chigi la fiducia nel sottosegretario, scelto da Meloni in persona per arginare il garantismo di Nordio, appare inscalfibile, e nel tardo pomeriggio tutte le voci di richieste di dimissioni e passi indietro sono state smentite.

La contraddizione

Il Pd mette il dito nella piaga. E attacca il ministro Nordio, che aveva tentato di difendere il suo sottosegretario spiegando come fossero necessari «approfondimenti», per capire quali atti fossero quelli resi pubblici da Delmastro, «quale livello di segretezza abbiano, se e chi potesse averne conoscenze e se il destinatario potesse a sua volta divulgarli o condividerli con terzi». Una strategia per prendere tempo, che ora sta collassando: «Crolla l'imbarazzante e imbarazzata difesa di Nordio. Ancor più grave la copertura politica di Giorgia Meloni» ha scritto sui social il deputato dem Peppe Provenzano, mentre la responsabile Giustizia Debora Serracchiani e altri parlamentari chiedono un «chiarimento politico e istituzionale da parte di Giorgia Meloni».

La vicenda è una doppia grana per Meloni, anche se il processo dovesse risolversi senza condanna: la ragione sta nel piglio garantista che la premier ha impresso insieme al suo ministro all’azione di governo. L’esecutivo è già intervenuto per limitare l’utilizzo delle intercettazioni. Un antefatto che rende l'improvvido utilizzo di informazioni riservate per attaccare gli avversari politici una contraddizione che, a prescindere dall’esito del procedimento contro Delmastro, apre una questione di opportunità che Meloni non può ignorare.

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