Dal governo dicono che lo scudo penale per i reati tributari, saltato all’ultimo prima del voto degli emendamenti alla legge di bilancio in commissione alla Camera, lo volesse Forza Italia, «una delle forze della coalizione». Solo che lo dicono  i ministri Nello Musumeci e Adolfo Urso, entrambi di Fratelli d’Italia. Il capogruppo del partito alla Camera Tommaso Foti lo aveva addirittura derubricato alla proposta di «un singolo» cioè il viceministro di FI, Francesco Paolo Sisto, una ricostruzione che non regge.

Lo studio interministeriale

È lo stesso Sisto a spiegare che la misura era frutto di uno studio interministeriale portato avanti assieme al viceministro all’Economia Maurizio Leo.  E infatti la prima volta che l’ipotesi è salita alla ribalta è stato mentre Giancarlo Giogetti e Giorgia Meloni erano impegnati nel G20 di Bali e Leo era a Roma ad occupare il ministero dell’Economia. 

Il ritiro della norma poi è stato deciso solo per evitare l’ostruzionismo dell’opposizione e lo spauracchio dell’esercizio provvisorio all’orizzonte che avrebbe significato per il governo. Nessuna vera opposizione di principio o almeno nessun ordine di scuderia di prendere le distanze dal condono. Semmai il contrario: l’ordine di mostrarsi compatti anche nelle misure pro evasori.

Lo stesso capogruppo Foti si è ritrovato alla fine a difendere l’idea con una ufficiale: «La legge di bilancio non è lo strumento idoneo per la finalità della misura di cui si parla. Questo non esclude che la norma in questione non sia inserita in un altro provvedimento e che possa trovare adeguata collocazione». Del resto, il grande tratto distintivo della manvora sono i dieci provvedimenti da un miliardo e 100 milioni sulla tregua fiscale, che esce dagli emendamenti con il solo rinvio di tre mesi delle stralcio delle cartelle. Rimarrà celebre la frase pronunciata del ministro Giorgetti per smentire lo scudo penale : «Non c’è nessun condono in manovra, cioè c’è quello di prima».

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