L’ex Terza posizione Marcello De Angelis, oggi responsabile della comunicazione istituzionale del Lazio, ha scritto sui social di sapere «con assoluta certezza» che gli ex Nar condannati per la strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, sono innocenti. Ieri è filtrata la notizia delle sue imminenti dimissioni che al momento non sono state comunicate.

Lo storico Davide Conti, che è anche stato consulente della procura di Bologna per quell’inchiesta, legge le dichiarazioni di De Angelis e commenta: «Siamo tutti in attesa che qualcuno di quel mondo riveli ciò che sa sulla strage. Tutti quelli che possono contribuire dovrebbero farlo. Naturalmente se gli argomenti e la documentazione hanno un minimo di addentellato con la realtà dei fatti».

I familiari delle vittime liquidano quelle di De Angelis come «certezze di pallonari». Basta?

No. Si tratta dell’immissione nel dibattito pubblico, con una logica accorta sul piano della comunicazione, di uno stillicidio di informazioni o disinformazioni che tendono a rilanciare una falsità giudiziaria e storica. Non aggiunge elementi in grado di mettere in discussione l’impianto giudiziale e storiografico di interpretazione degli eventi del 2 agosto 1980.

Ci sono cinque sentenze sulla strage. Ma le sentenze si possono discutere, è successo altre volte. Stavolta è inaccettabile?

Non è affatto inaccettabile. La sentenza è una misura pubblica, la giustizia è uno spazio pubblico, quindi è anche spazio di discussione, di conflitto. Il punto è che una discussione si dovrebbe sviluppare in base a elementi. Fin qui non è successo. Chi sostiene l’innocenza dei Nar condannati, lo fa in base a posizioni di principio. Non fatti ma teorie.

Ad esempio: i Nar hanno rivendicato molti altri omicidi e attentati – il gruppo è responsabile di 96 morti – ma non la strage. Per chi li sostiene è una prova d’innocenza: “Se l’avessero fatta loro perché non rivendicarla?”. In realtà quel silenzio li ha messi in condizione di non dover parlare dei mandanti e li ha garantiti sia in carcere, dove altri neofascisti coinvolti nelle stragi erano stati uccisi, sia rispetto a un più mite trattamento penale.

Per i giudici i mandanti sono Licio Gelli e la P2. Ma la P2 in quell’anno aveva una grande forza negli apparati dello stato. Non è legittimo chiedersi a che servisse una strage così feroce?

Questo è uno dei rimossi del contesto. La strage serve a incidere sul quadro politico del 1980. L’anno si apre con l’omicidio di Piersanti Mattarella, l’eliminazione dell’erede politico di Aldo Moro, che al congresso Dc del mese successivo doveva essere eletto vicesegretario, proseguendone la politica, e continuando a reggere la Sicilia con una maggioranza di solidarietà nazionale con il Pci. Il governo Dc-Pci era finito da poco con le elezioni del giugno 1979.

Quell’omicidio incide nella vicenda politica del paese. E molti omicidi e attentati dei sette mesi precedenti la strage si collocano nella logica di chiusura di quella fase. Poi non dobbiamo dimenticare che la P2 era “un” elemento di potere nel corpo dello stato, ma non unico. Sono segni di un conflitto interno alle istituzioni la scoperta degli elenchi P2, l’istituzione della commissione, l’apertura di indagini che portano alla messa all’angolo di quel centro di potere che fino all’anno prima aveva un ruolo egemone, con uomini ai vertici dei servizi e delle forze armate.

Le sentenze non sono, non devono essere una lettura storica, ma un accertamento di responsabilità penali. Un giudice non scrive la storia. Non è questo il problema?

Certo, i giudici non scrivono la storia. L’inchiesta nasce dal “Documento Bologna”, una carta in cui il capo della Loggia P2 annota i pagamenti effettuati per l’organizzazione della strage e i depistaggi. La ricostruzione fattuale muove da questa carte.

Le parole di De Angelis sono in scia con quelle della presidente Meloni? Cioè intorno all’assenza della parola “fascista” o “neofascista”, sulla strage, la destra di governo gioca una partita?

Sì, perché la questione del rapporto fra l’estrema destra e la storia del paese, a mio giudizio, non risiede “solo” nel 25 aprile e nella lettura della guerra civile del 1943-1945. Il problema della destra al governo oggi è fare i conti con l’eredità del fascismo nei decenni della democrazia: gli anni delle stragi, dei tentativi di golpe, dello squadrismo. Studi come quelli dell’Istituto Cattaneo mostrano che fra il 1969 e il 1974 oltre l’80 per cento degli episodi di violenza politica fanno capo alle organizzazioni di estrema destra. Il che restituisce il problema della collocazione dei «fascisti in democrazia», come si autodefiniva Giorgio Almirante.

La pista palestinese è definitivamente chiusa?

La pista palestinese o internazionale è stata vagliata per un decennio. La desecretazione degli ultimi documenti ha dimostrato che la frizione fra l’Italia e il mondo combattente arabo viene ricomposta nel luglio 1980. Un mese prima della strage.

Perché chi crede alle sentenze ha paura della commissione parlamentare chiesta da FdI?

La commissione parlamentare d’inchiesta è un istituto usato e talvolta abusato, come ha ricordato il presidente della Repubblica, che giustamente ha chiesto di non utilizzarlo come alternativa alle inchieste della magistratura. Ma ne abbiamo avute di molto serie. La commissione Stragi, presieduta da Giovanni Pellegrino, ha portato a una lettura d’insieme: lo stesso Pellegrino ricorda gli interventi prima conflittuali poi sempre più collaborativi di Paolo Emilio Taviani e Francesco Cossiga.

Al contrario, nelle commissioni Mitrokhin e Telekom Serbia si è vista clamorosamente la cifra strumentale e i loro risultati sono stati a volte depistanti rispetto alla verità storica. Questo, a mio giudizio, sarebbe il caso della commissione chiesta da Fratelli d’Italia: le parole di questi giorni rendono evidente che si tratta di uno strumento voluto da una parte politica per un utilizzo di parte politica.

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