Italia

L’Occidente si fonda sulle città, ma ora le aree interne vogliono il loro spazio

President-elect Joe Biden walks to speak to the media as he leaves The Queen theater, Tuesday, Nov. 24, 2020, in Wilmington, Del. (AP Photo/Carolyn Kaster)
President-elect Joe Biden walks to speak to the media as he leaves The Queen theater, Tuesday, Nov. 24, 2020, in Wilmington, Del. (AP Photo/Carolyn Kaster)
President-elect Joe Biden walks to speak to the media as he leaves The Queen theater, Tuesday, Nov. 24, 2020, in Wilmington, Del. (AP Photo/Carolyn Kaster)

L’Occidente si definisce nella storia, da sempre, per il ruolo guida che le città hanno svolto, come centro di innovazione e cambiamento: un ruolo istituzionale, culturale, oltre che economico.

In Oriente, in Cina  soprattutto, le cose vanno diversamente: il mondo delle campagne domina sulle città, ne determina il destino, dalla cultura alle istituzioni – un grande impero autocratico governato dalla burocrazia mandarina.

Non a caso in Cina anche la rivoluzione comunista partirà dalle campagne, a differenza che in Russia. Così come saranno contadine tutte le altre rivoluzioni del Novecento fuori dall’Occidente (in America Latina, dal Messico a Cuba, in Africa, in Asia).

Negli Stati Uniti, nelle contee con grandi metropoli (città di almeno 1 milione di abitanti) i due terzi degli elettori hanno votato per Joe Biden. Nelle contee rurali, quasi il 70 per cento ha votato per Donald Trump. È una differenza enorme, definita in queste proporzioni quattro anni fa e rimasta sostanzialmente immutata. A decidere la vittoria di Biden è stato, secondo un’analisi del Financial Times, un leggero spostamento nelle contee suburbane, quelle intermedie, dove i democratici hanno s

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