La maggioranza di governo torna a dividersi sulla giustizia, in particolare sulla commissione parlamentare d’inchiesta sulla magistratura.

La proposta avanzata nelle commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera era partita da Forza Italia e Lega qualche settimana fa, sostenuta anche da Italia Viva e Azione. L’obiettivo era quello di indagare le cause dello scandalo Palamara e del cosiddetto mercato delle nomine, allargando poi l’indagine all’«uso politico della giustizia». Alla proposta si erano invece opposti Partito democratico, Movimento 5 Stelle e Leu con una motivazione soprattutto tecnica: l’incostituzionalità di una commissione parlamentare che si occupi di un altro potere dello stato, con il rischio di generare un conflitto di attribuzione. La questione sembrava quasi archiviata ma lo scandalo di questi giorni, dalla divulgazione di verbali secretati della procura di Milano all’esistenza di una presunta loggia segreta “Ungheria”, ha rianimato il dibattito, polarizzando ulteriormente lo scontro. Soprattutto dopo che il presidente della commissione Giustizia, Mario Perantoni (M5S), ha scelto come relatori per la proposta di legge di istituzione della commissione Stefano Ceccanti del Pd e Federico Conte di Leu.

La scelta è stata letta dal centrodestra come un tentativo di far fallire l’operazione, proprio nel momento in cui le novità di questi giorni avrebbero fatto assumere alla proposta di commissione un ulteriore connotato di ancora maggiore necessità. La capogruppo al senato di Forza Italia, Anna Maria Berinini, che ha definito la commissione «ineludibile» per tutelare «la stragrande maggioranza dei magistrati». Fi si è compattata dietro al deputato della commissione Giustizia ed ex membro del Consiglio superiore della magistratura, Pierantonio Zanettin, che ha definito «struzzi» con la testa sotto la sabbia Pd e Movimento 5 Stelle e ha contestato anche la scelta dei due relatori del centrosinistra, «entrambi già dichiaratisi contrari alla nostra proposta di legge». L’accusa di parzialità è stata respinta da Conte, che ha sottolineato che quello di relatore è un compito istituzionale: «Non mi impedirà di esprimere le mie opinioni, ma lo svolgerò nel rispetto delle posizioni di tutti». 

I contrari

Le ultime notizie, infatti, non hanno per ora influenzato la posizione del Pd e del Movimento. In particolare Perantoni, ha detto a Repubblica che «la commissione d’inchiesta sulla magistratura non può diventare un tribunale politico in stile inquisizione sul lavoro dei giudici». La posizione dell’ex maggioranza giallorossa è quella di dire no a una commissione d’inchiesta dai confini troppo generici, mentre ci sarebbe margine di dialogo per una commissione su fatti «determinati e precisi» come il caso Palamara.

Su questa linea si muovono anche le correnti associate della magistratura. Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia, che in un’intervista alla Stampa ha definito «inaccettabile» l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulla magistratura. La toga non lascia margini di possibilità: «Su quali fatti dovrebbero indagare?», si chiede, aggiungendo una nota polemica: «Forse vorrebbero riscrivere alcune sentenze sgradite? Il Parlamento non ha bisogno di alcuna indagine per legiferare».

Tocca a Cartabia

Il contrasto interno alla maggioranza è aspro e, come sempre negli ultimi mesi, a venire chiamata in causa è la ministra della Giustizia, Marta Cartabia. La necessità di un suo intervento è l’unico fatto su cui tutti i gruppi – compreso quello di minoranza di Fratelli d’Italia – hanno trovato convergenza, chiedendole di riferire alla Camera sulla vicenda dei verbali secretati degli interrogatori dell'avvocato Piero Amara trasmessi al Csm e alle redazioni di alcuni giornali. Quello che tutti definiscono un «opportuno chiarimento» su una «vicenda dai contorni oscuri», come la ha definita il deputato del Pd, Alfredo Bazoli, potrebbe arrivare presto. L’attesa è solo che la polvere sollevata in questi giorni si depositi. Dal ministero di via Arenula si sa che Cartabia sta «seguendo con attenzione gli sviluppi della vicenda» e nei giorni scorsi ci sarebbe stata anche una telefonata con il procuratore generale di Cassazione, Giovanni Salvi. Oggetto della conversazione: ottenere chiarimenti sulla situazione e appoggio del ministero all’iniziativa della procura generale di valutare iniziative disciplinari nei confronti del pm di Milano Paolo Storari, che ha portato i verbali segreti al Csm da Piercamillo Davigo. Novità potrebbero arrivare con la deposizione di Davigo, che verrà sentito il 6 maggio come teste nell’udienza al tribunale del Riesame di Roma nell'ambito dell'indagine contro Marcella Contrafatto, accusata di aver diffuso in forma anonima ad alcuni giornali i verbali secretati.

 

© Riproduzione riservata