Il risanamento di Napoli «sta andando bene, è un percorso lungo ma lo stiamo portando avanti rispettando i tempi che ci eravamo prefissi». L’importante, per Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli, già rettore della Federico II e ministro dell’Università del governo Conte II, è che il prossimo governo non cambi le carte in tavola.

«A Napoli stiamo combinando risanamento del bilancio con una politica di investimenti perché abbiamo risorse che derivano sia dal Pnrr che dai fondi di coesione. Quindi è estremamente importante che tutti questi investimenti possano partire, che si possano aprire cantieri, sbloccare quelli che sono fermi, e chiudere le tante opere che abbiamo sospese.

Sulla realizzazione del Pnrr, per voi sindaci un cambio di governo rappresenta un’incognita?

L’incognita è sicuramente quella legata all’aumento dei prezzi. Le faccio un esempio: la nostra gara sui tram è andata deserta perché tutti i progetti erano stati preparati sui prezzi pre-inflazione. Quindi c’è un tema importante di adeguamento dei prezzi e delle risorse. Ma penso che l’impianto del Pnrr debba restare come è stato immaginato. Piccole modifiche si possono sempre fare perché il contesto è cambiato, ma andare oltre sarebbe un suicidio, dopo tutto il lavoro fatto, e lo sforzo per rispettare i tempi. Queste risorse sono determinanti perché sono le più significative che noi abbiamo a disposizione.

Teme un governo di destra, che avrebbe i fondamentali molto diversi da quelli del governo Draghi?

Vedremo quale sarà il governo. In ogni caso noi avremo un rapporto istituzionale. Siamo la terza città d’Italia, la più grande del Mezzogiorno. Napoli è una delle grandi realtà del paese. Mi auguro che il nuovo governo non si discosti dai principi di efficienza e qualità che sono stati alla base del governo Draghi. E che abbia un’attenzione al Mezzogiorno e ai temi sociali. Avvertiamo già forti le difficoltà della riduzione del potere d’acquisto, del caro bollette colpiscono piccoli imprenditori e famiglie.

Un mese fa lei ha lanciato l’allarme per un «Sud dimenticato». Con la campagna elettorale è cambiato qualcosa?

Si è cominciato un po’ a parlarne, ma non sento ancora voci forti che vedono nel Mezzogiorno una grande opportunità per il paese. Veniamo sempre percepiti come un problema e invece siamo un’opportunità di sviluppo, di crescita economica. Un laboratorio di politiche di riduzione del divario: che è un problema del paese, non solo del Sud.

Ha letto i programmi dei partiti sul Mezzogiorno?

Sì, e si continua a parlare di reddito di cittadinanza sì o no, come se fosse un problema solo qua da noi. Il tema è la povertà. In nessuno dei programmi leggo una visione dello sviluppo del Mezzogiorno e del paese. Faccio un invito alla forze politiche, e soprattutto a quelle del campo progressista: fate capire agli elettori qual è il modello di sviluppo che immaginate per il Mezzogiorno. Significa dare una prospettiva e una speranza ai tanti che oggi vivono nei nostri territori.

Comunque il tema del reddito di cittadinanza c'è ed è centrale nello scontro politico: le destre e Renzi vogliono cancellarlo, Renzi aveva persino lanciato un finto referendum.

Il reddito di cittadinanza è uno strumento indispensabile per fronteggiare la povertà. Se non l’avessimo avuto durante la pandemia e adesso, con la crisi energetica, avremmo una situazione anche più drammatica. Certo va riformato nelle politiche attive del lavoro, anche per garantire una maggiore flessibilità. Nel mio comune ci sono alcuni percettori di reddito per alcuni tipi di lavori, come per il verde pubblico, e il meccanismo è difficile, farraginoso, anche il passaggio per le agenzie per il lavoro, insomma tutto arriva con il contagocce. E alla fine i meccanismi si imballano. Invece far lavorare chi può è un fatto di dignità, tanto più se parliamo di lavori utili alla collettività.

Lei è stato eletto da una coalizione giallorossa. La sua maggioranza ha risentito della rottura nazionale?

A Napoli governo con un programma chiaro e un campo largo, che va dal centro, alle forze civiche, al Pd e ai Cinque stelle. Credo ancora oggi che questa proposta politica sia competitiva anche a livello nazionale. I numeri lo dicono. Spero che l’esperienza napoletana possa essere utile un domani per la ripresa di dialogo fra queste forze politiche a livello nazionale.

Ma è perdonabile aver fatto cadere il governo Draghi alla vigilia di una crisi come quella attuale?

È stato un errore grave. Avevamo l’opportunità anzi la necessità che il governo andasse avanti. Ma ora avremo un governo che durerà cinque anni, e forse non sarà ispirato al metodo Draghi. Per questo credo che le prospettive politiche del paese non dovevano essere segnate da quell’unico voto sfiducia, un episodio sbagliato, ripeto, ma unico.

Il suo predecessore Luigi De Magistris ha fatto il salto nella corsa nazionale.

Non mi meraviglia, il suo obiettivo era stato sempre quello, ha sempre pensato Napoli come trampolino verso la politica nazionale. E forse per questo non ha curato l’amministrazione della città.

Le liste di Napoli, soprattutto a sinistra, sono zeppe di big.

Ci sono tante personalità fra i candidati, anche miei ex colleghi di governo che stimo. Faccio una considerazione più generale: questa legge elettorale combinata al taglio dei parlamentari ha completamente staccato i candidati dal territorio, e non è un bene. Perché oltre a portare a Roma le istanze del territorio, un candidato deve combattere anche la disaffezione dei cittadini nei confronti dei loro rappresentanti istituzionali a Roma.

Prima di decidere di correre, lei è stato un candidato sindaco corteggiatissimo da Pd e Cinque stelle. Li sente ancora i leader di quei partiti?

Sì, sono amico di Giuseppe Conte e di Enrico Letta. Ma so benissimo che quando la politica ti chiede di candidarti, ti chiamano tutti, ma è solo una fase. Ho ancora rapporti con tutti ma oggi faccio il sindaco di Napoli e devo rispondere ai cittadini che mi hanno votato con un consenso estremamente ampio. Quindi le istanze che porto a Roma riguardano la città di Napoli, e l’area metropolitana che è la terza d’Italia. Questo oggi è il mio ruolo.

Resta un uomo di congiunzione fra Pd e Cinque stelle?

Ho un ottimo rapporto con tutti, anche con i leader del centro. Lavorerò sempre per il dialogo. Penso che il fronte del centrosinistra progressista deve essere unito.

I sindaci come lei, eletti da una coalizione giallorossa, avranno un ruolo dal 26 settembre?

Penso di sì, e che il nostro compito è duplice. Da un lato lavorare per ricucire il fronte progressista. Ma anche portare alla politica nazionale le vere istanze delle grandi aree urbane e metropolitane, dove si consumano tutti i problemi e le diseguaglianze del nostro paese. Se la politica romana ascoltasse di più le sensibilità e i bisogno dei sindaci, i provvedimenti sarebbero molto più efficaci.

Ma lei è stato ministro, dall’altra parte della barricata. Cos’è che rende i governi poco attenti alle città?

Dalla mia esperienza mi sono reso conto che il governo centrale ha un’interlocuzione prevalente con le Regioni, anche per la struttura istituzionale. Va data maggiore centralità al ruolo dei sindaci e delle città che sono l’ente di prossimità che ascolta e risponde ai cittadini. Qualcosa è stato fatto ma mi auguro che questo protagonismo continui. Non tanto perché esiste un partito dei sindaci, a cui non ho mai creduto. Ma perché i sindaci devono essere ascoltati: sono eletti con un meccanismo diretto e conoscono i problemi dei cittadini perché li vivono tutti i giorni.

La destra governa poche grandi città. Se vincerà, ci potrebbe essere un problema di comprensione reciproca?

Il timore ci potrebbe essere, ma non è possibile che succeda davvero. Se guardiamo a Roma, Milano, Napoli e le tre grandi aree metropolitane, stiamo parlando di 10 milioni di abitanti. Trascurare le città significherebbe trascurare gli italiani, per qualunque governo. Non è neanche pensabile.

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