Non è la piazza «dell’opposizione e della sinistra», «siamo più questo, siamo la piazza che vuole unire ciò che è diviso, di chi vuole cambiare il paese, di chi paga le tasse, quelli che tengono in piedi il paese». Dal palco di piazza San Giovanni, Maurizio Landini risponde subito alla domanda che tutti gli fanno, e altri non gli fanno ma si pongono pensosamente fra sé; e che suona come un grande classico dell’aneddotica comunista (anno 1947, Togliatti a Pajetta che occupa la prefettura di Milano).

E che tradotta nella giornata di ieri, nell’enorme catino di piazza San Giovanni che strippa come fosse un Concertone, non riesce a contenere le due manifestazioni imponenti che vi confluiscono – una partita da piazza della Repubblica, l’altra da piazzale dei Partigiani, in entrambi i casi quando la testa del corteo arriva, la coda è ancora ferma alla partenza –, che insomma tradotta al 7 ottobre del 2023 suona così: e ora che ti sei messo alla testa di questo sterminato popolo della sinistra, che ti riconosce come riferimento molto più di uno qualsiasi dei leader politici coevi, di questo popolo ora che ne farai?

Una prima risposta arriva da sotto il palco intitolato a «La via maestra, insieme per la Costituzione»: quando il segretario Cgil finisce il comizio per la prima volta non parte il consueto Bella ciao, ma il boato «sciopero generale».

Nei cortei ci sono i lavoratori di tutte le categorie, un mare di bandiere rosse, di palloni rossi, di gadget fantasiosi (quelli della Funzione pubblica hanno le magliette con scritto «Funzione partigiana», hanno fatto persino i ventagli griffati Fp), ci sono le mille strade dell’impegno. Il segretario ha chiamato una per una le più di cento associazioni, ha messo insieme tutte le battaglie, tutti gli attivismi per la mancata applicazione della Costituzione, dall’ambiente (sterminata la presenza dei militanti della «Resistenza climatica»), al lavoro al pacifismo alla solidarietà all’accoglienza.

L’opposizione che manca

Landini inizia a parlare prima delle 17, gli trema la voce per la prima volta da un palco. La tensione della vigilia era forte, la prova di forza però è riuscita. Sono più dei centomila che filtrano dagli organizzatori: per evitare la guerra dei numeri la Cgil non ne dà, ma 81mila erano solo le prenotazioni su pullman e treni speciali.

La questura dice 50mila, ma è un tentativo disperato di arginare la notizia: Landini ha riunito in una sola moltitudine i mille rivoli dell’impegno sociale. Dalle associazioni più grandi (Arci, Acli, Ali, Legambiente, Libera, Cnca, Comunità di San Benedetto al Porto, Emergency, Rete per la pace e il disarmo, Sbilanciamoci, Udi, Wwf) ai mille striscioni, allo spezzone dei carrelli della spesa che segnalano i rincari («olio +20.4 per cento, caffé e te +8,7), ai plotoni di muratori bianchi e neri che vengono dai cantieri, difesi dalla Fillea, che poeteggiano amaramente sulla sicurezza sul lavoro (80 morti al mese, dati Inail), «Si sta come d’estate sui ponteggi gli edili».

Gli studenti con la musica, i minatori sardi, intere bande musicali, centinaia di comitati contro l’autonomia differenziata, «Non ci rompete l’Italia». La versione dello striscione del Pd, che chiude uno dei due cortei è: «L’Italia che non si spezza». Il Pd c’è, per la prima volta ufficialmente, la segretaria Elly Schlein attraversa il corteo fra gli applausi, c’è una folta pattuglia di parlamentari ma soprattutto una notevole presenza di militanti per la prima con una propria insegna (l’ha voluto il nuovo segretario di Roma Enzo Foschi).

E l’ex ministro del Lavoro Andrea Orlando può dire: «Oggi a Roma una Piazza enorme, per salari dignitosi, per difendere la scuola e la sanità pubblica, per difendere l’industria italiana. Il Pd è finalmente in questa piazza con tutto il suo gruppo dirigente perché condivide questa lotta. Oggi un grande momento di opposizione sociale alle politiche del governo delle destre. All’opposizione politica compete ora il compito di rappresentare queste domande percorrendo la via dell’unità».

È il punto: ci sono i rossoverdi Fratoianni e Bonelli, c’è anche Nichi Vendola, Sergio Cofferati, di ritorno nel Pd, c’è una pattuglia di Cinque stelle (Giuseppe Conte non c’è, ma è a Foggia dove i giallorossi il 22 ottobre provano a espugnare il comune ex di destra, commissariato per mafia), ma la verità è che l’anello mancante a questa grande catena umana è proprio l’opposizione politica, che non si unisce. Che non trova il suo Landini.

Solidarietà con le vittime

La giornata non è iniziata bene. La notizia della guerra scatenata da Hamas su Israele è una botta pesantissima per tutti. I cronisti solcano i cortei in cerca di nemici di Israele. Landini chiarisce subito: «Condanniamo in modo esplicito ciò che ha fatto Hamas contro il popolo israeliano. Noi siamo contro qualsiasi guerra. Esprimiamo la nostra vicinanza e il nostro cordoglio alle famiglie delle vittime dell'attacco odierno», «La logica della guerra è una delle ragioni per cui oggi siamo in piazza». Aveva fatto altrettanto sul palco, Gianfranco Pagliarulo, presidente dell’Anpi e sorvegliato speciale per l’amicizia storica della sua organizzazione con la Palestina.

Landini chiede il salario minimo, attacca i tagli alla sanità, chiede una riforma fiscale «degna di questo nome e politiche che non rendano il lavoro precario». I soldi vanno presi dove ci sono: «Perché non tassano la rendita finanziaria e immobiliare? È accettabile che siano tassati di più il lavoro o la pensione che la rendita immobiliare o finanziaria?».

Dal palco parlano fra gli altri Emiliano Manfredonia (Acli), la studente Camilla Piredda, la pacifista Michela Paschetto (Europe for Peace), Matteo Ricci (presidente di Ali, l’ex Lega delle autonomie, dirigente Pd), Gustavo Zagrebelsky, don Luigi Ciotti. Sonny Olumati, di Italiani senza Cittadinanza, fa quasi un rap del suo appello contro il razzismo, inizia con una citazione nota: «L’Italia è il paese che amo».

Landini fa salire al cielo un applauso per Stefano Rodotà e Lorenza Carlassarre, i costituzionalisti scomparsi che dieci anni fa avevano tenuto a battesimo una manifestazione con lo stesso titolo «La Costituzione è la via maestra». «E c’era un governo di sinistra», dice. In molti hanno indossato la maglietta blu di quella giornata, e non vedevano l’ora che qualcuno gli desse l’occasione di tirarla fuori dall’armadio. «Anche questo governo, con i provvedimenti che sta facendo, va nella direzione di manomettere la Costituzione. Abbiamo detto a Meloni che noi la Costituzione l’abbiamo difesa con Berlusconi e con Renzi. E abbiamo chiarito anche che il Paese è già frantumato così. Salario, pensioni, reddito: sono questi i temi di cui parlare».

Chiude: «Non ci fermeremo. Andremo avanti fino a quando non otterremo risultati». E lì che parte il coro «sciopero generale». Per deciderlo però il segretario Cgil dovrà sedersi al tavolo con Cisl e Uil, e tornare nei panni di un sindacalista. E dopo questa prova, proprio perché riuscitissima, non è detto che sia più facile.

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