Manovra inutile e ingiusta, ma il paese non reagisce più al grande freddo

Anche a fine dicembre può esserci un grande freddo che non è normale. Mi riferisco, evidentemente, all’elemosina classista della legge di Bilancio. Ma forse, più ancora, al freddo delle reazioni da parte del paese reale. Quanto alla legge di Bilancio, sulle pagine di questo giornale ne sono stati doviziosamente forniti i dettagli. Mi permetto di aggiungere solo alcune considerazioni personali. La manovra è pessima, ma ci aspetta di peggio: Meloni può concentrarsi sulle sue ambizioni L’impotenza della politica Il contenuto di questa manovra è complessivamente tra i 18 e i 22 miliardi di euro. Una cifra incapace di spostare qualsiasi equilibrio sociale. Per fare solo un esempio: il Pnrr ha portato con sé risorse dieci volte maggiori. Certo, questa scelta è dovuta al cinico calcolo elettorale del governo, che impoverisce il piatto di quest’anno per avere il permesso dell’Europa per rafforzare il piatto della finanziaria pre-elettorale. Ma saremmo ingiusti se non riconoscessimo in questa tendenza anche l’evidenza dell’impotenza ormai strutturale della politica, incapace di agire per condizionare e orientare i grandi processi economici. Per usare una metafora “stagionale”: un tempo lo stato aveva a disposizione un cannone per supplire alla mancanza di neve naturale con un’abbondante coltre di neve artificiale. Oggi allo stato è rimasto forse un cannone, ma non ha più neve. Il mondo è cambiato e l’impotenza della politica si coglie soprattutto nella sua incapacità di modificare le tendenze e le scelte economiche che sono state prese da altre governance. Con buona pace del ministro Giancarlo Giorgetti e delle sue rassicurazioni, l’austerità non è più una parentesi nella storia recente delle politiche economiche, ma un paradigma permanente: il compito dei governi non è di supplire alla mancanza di neve con la neve artificiale, ma di dismettere quanti più cannoni possibili (cannoni sparaneve, beninteso. Gli altri invece vanno acquistati senza sosta). Un’ottima definizione di austerità: una riduzione, della politica all’impotenza economica, operata dalla politica stessa. Danni presenti e futuri di una manovra votata all’austerità Una società che non esiste Eccolo il grande freddo. Che poi si estende nelle scelte che sono tutte responsabilità del governo. Ci sono piccole cose che danno tanto da pensare. Per esempio la riduzione del fondo per i farmaci innovativi – per i malati oncologici – o il tanto sbandierato fondo di 1,15 milioni di euro per i caregiver familiari (per carità, che siano solo le figlie a occuparsi delle loro madri). Non è uno scherzo. Poco più di un milione di euro (più generali promesse per il futuro) di fronte a un’evidenza demografica che ha il carattere d’emergenza. Di fronte a una società sempre più ammalata e invecchiata, la politica avrebbe il dovere di intervenire organicamente. Perché quest’irresponsabilità avrà dei costi sociali altissimi: figlie e figli costretti a lasciare quei pochi lavori che hanno, genitori abbandonati in solitudine, caregiver non familiari che verranno lasciati nell’informalità, malati che non potranno accedere a cure salvavita. Ecco, la demografia è uno degli strumenti critici fondamentali per definire con certezza l’attuale crisi della politica: mentre la prima mostra le linee di faglia della società, la politica si occupa ancora di una società che non esiste più. La reazione del paese Ma il grande freddo non è solo ciò che si prova leggendo la legge di Bilancio. È soprattutto il modo in cui il paese reagisce. Solo qualche anno fa nessun governo avrebbe avuto il coraggio di presentare una legge che ritocca in senso peggiorativo le pensioni, aumenta le accise sul gasolio (quando buona parte dell’economia gira scandalosamente ancora su gomma), propone un ennesimo condono. Quel poco che è fatto, non solo è classista, ma non cerca nemmeno di dissimulare le cose. Non c’è più bisogno di indorare la pillola. Tanto il paese reale è tutto preso a combattere battaglie nelle quali non spera più di trovare accanto la politica. Il grande freddo è anche il titolo dell’ultimo straordinario album lasciatoci da Claudio Lolli prima di morire. Una meditazione sul disincanto della politica, sulla condizione umana che appartiene a «un grande circo di gente diversa/ per cui la vita è soltanto una lotta/ ma è troppo spesso una battaglia persa». Ecco, mai come in questi giorni sento che è questo grande freddo ciò che dobbiamo affrontare, a sinistra. Perché se nessuno ha più tempo per manifestare indignazione di fronte a ciò che accade è solo perché, probabilmente, anche la rabbia è inutile se non c’è nessuno di cui fidarsi. Certo non ci si può fidare dell’Europa, che tiene molto più ai nostri conti che ai nostri malati. Ma nemmeno delle classi dirigenti dei nostri partiti, composte dai Soumahoro di turno, da narcisisti che intendono la politica come un modo per esibire se stessi, non come la responsabilità di sciogliere il grande freddo che ha ormai indurito le nostre vite, non solo in questi gelidi giorni di fine dicembre. Tra demagogia e realtà, di quale austerità parliamo?