L’«angoscia» e la «speranza» di questo ultimo tratto del 2020, la pandemia che «mette a rischio le nostre esistenze» e «ferisce il nostro modo di vivere». In un messaggio breve, sette pagine per un discorso che dura un quarto d’ora, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lancia un roccioso appello alla responsabilità di tutti e tutte, dalla politica ai cittadini, dai vaccini alla gestione della cosa pubblica. Ma sembra volutamente sfumare, forse perfino scolorire i toni e le parole. Non ha bisogno di esibire quello che è stato il Quirinale in questo annus horribilis: la voce delle istituzioni – l’unica – che, nel pieno del contagio, ha tenuto un occhio fermo sulla sofferenza dei cittadini e delle cittadine. La sua immagine, solitaria, il 25 aprile al Milite ignoto; a settembre la sua presenza alla riapertura delle scuole a Vo Euganeo, uno dei paesi del Veneto simbolo della durezza con cui si è abbattuta la pandemia, sono fra le foto che ricorderanno il 2020. Mattarella, sin dall’inizio della cavalcata del virus, ha chiesto la collaborazione delle istituzioni e l’unità delle forze politiche. Per pronunciare il suo messaggio al paese il presidente esce dallo studio, dove siamo abituati a vederlo. E’ in piedi, alle sue spalle non ci sono simboli di Natale e segni di festa. Solo le bandiere- quella italiana, quella europea e quella del Quirinale. Dietro di lui c’è la vetrata del primo piano del Palazzo, oltre si vede il cortile di rappresentanza.

E’ la postura di chi si mette all’altezza dei cittadini e delle cittadine quando dice «aspiriamo a riappropriarci della nostra vita», e cioè tornare alla normalità, «vorremmo tornare a essere immersi in realtà e in esperienze che ci sono consuete. Ad avere ospedali, non investiti dall’emergenza. Scuole e università aperte, per i nostri bambini e i nostri giovani. Anziani non più isolati, per necessità e precauzione. Fabbriche, teatri, ristoranti, negozi pienamente funzionanti. Trasporti regolari. Normali contatti, con i Paesi a noi vicini, e con i più lontani, con i quali abbiamo costruito relazioni, in tutti questi anni».

E’ un Mattarella empatico, che già solo per la scelta delle parole (una scelta «difficile» dice proprio in apertura del discorso) si colloca agli antipodi della retorica dei successi che arriva quotidianamente da Palazzo Chigi. Il capo dello stato non rimuove il dramma, anzi ricorda quello che è successo nel 2020 della pandemia con immagini realistiche e dolorose: la «drammatica contabilità dei contagi, delle morti», «le immagini, delle strade e delle piazze, deserte. Le tante solitudini. Il pensiero, straziante, di chi moriva senza avere accanto i propri cari». Poi l’estate e «l’illusione dello scampato pericolo; un diffuso rilassamento». E ancora la seconda offensiva del virus. Mattarella nomina alcuni settori e alcune categorie che hanno sofferto più di altre della crisi. Non è nello suo stile fare le classifiche della sofferenza, ma è certo che la pandemia e la crisi si sono abbattuti in maniera diversa nelle diverse fasce sociali. Il 2020, dice, è stato anche l’anno del «balzo in avanti dell’Europa» e non era scontato. Il 2021 sarà l’anno dei vaccini: «Di fronte a una malattia così fortemente contagiosa, che provoca tante morti, è necessario tutelare la propria salute, ed è doveroso proteggere quella degli altri». Con sobrietà annuncia: «Io mi vaccinerò, appena possibile. Dopo le categorie che, essendo a rischio maggiore, debbono avere la precedenza».

La crisi aperta

Mattarella è consapevole di parlare nel pieno di una crisi politica nella maggioranza di governo ma cancella ogni riferimento a questi momenti convulsi. I primi giorni del 2021 saranno decisivi per la prosecuzione della vita del governo e forse anche della legislatura: Palazzo Chigi e il ministero dell’economia sono nel pieno della «verifica» delle forze alleate, un confronto che sembra uno scontro muro contro muro e che rischia di rallentare il piano del rilancio del paese, fino allo scenario nero del rischio di perdere i fondi che il Nex Generation Ue ha destinato all’Italia, 209 miliardi. Ma come sua abitudine il presidente resta al di qua delle vicende politiche e parlamentari. «Ci accingiamo – sul versante della salute e su quello economico – a un grande compito. Tutto questo richiama, e sollecita, ancor di più, la responsabilità, delle - istituzioni anzitutto; delle forze economiche; dei corpi sociali. Di ciascuno di noi», dice, «Serietà, collaborazione, e anche senso del dovere, sono necessari, per proteggerci, e per ripartire». «Non viviamo in una parentesi della storia. Questo è tempo di costruttori. I prossimi mesi, rappresentano un passaggio, decisivo, per uscire dall’emergenza; e per porre le basi di una stagione nuova».

Ognuno faccia la sua parte

A chi legge le sue parole in chiave politica concede poco, ma quel poco basta a lasciar trasparire un appello alla stabilità: «Il piano europeo per la ripresa, e la sua declinazione nazionale – che deve essere concreta, efficace, rigorosa, senza disperdere risorse - possono permetterci di superare fragilità, strutturali, che hanno impedito all’Italia di crescere come avrebbe potuto. Cambiamo ciò che va cambiato, rimettendoci coraggiosamente in gioco», «Ognuno faccia la parte propria». Il presidente parla a tutti, ciascuno dei protagonisti politici potrà sentire il discorso rivolto a sé. Il suo è un ennesimo appello alla responsabilità delle forze politiche, quelle dell’opposizione ma forse ancora prima quelle della maggioranza: «La sfida che è dinanzi a quanti rivestono ruoli dirigenziali nei vari ambiti e a tutti noi richiama l’unità morale e civile degli italiani. Non si tratta di annullare le diversità di idee, di ruoli, di interessi, ma di realizzare quella convergenza di fondo che ha consentito al nostro Paese di superare momenti storici di grande e talvolta drammatica difficoltà». Ma non si può sbagliare: «Non sono ammesse distrazioni. Non si deve perdere tempo. Non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte. E’ questo quel che i cittadini si attendono».

La fine del suo mandato

In chiusura Mattarella fa una sottolineatura che non può essere casuale. «Quello che inizia sarà il mio ultimo anno come Presidente della Repubblica. Coinciderà con il primo anno da dedicare alla ripresa della vita economica e sociale del nostro Paese». Non c’è enfasi in questo passaggio, che può essere anche interpretato come una constatazione, una normale presa d’atto della fine del suo settennato. Eppure in queste parole può essere letta una implicita volontà di concludere la sua presidenza, uno sfumato no al secondo mandato che molti ormai immaginano come fattore di stabilità di una legislatura traballante. Chi ha parlato negli scorsi mesi con Mattarella conosce le sue considerazioni: nove anni è la durata della carica pubblica costituzionalmente più longeva, quella dei giudici della Consulta, 14 anni sarebbe una durata da monarchia. Chi immagina un suo secondo mandato deve fare i conti con questa sua convinzione. Ma in quest’ultimo anno il presidente promette che non mancherà di far sentire la sua voce: «La ripartenza, sarà al centro, di quest’ultimo tratto, del mio mandato. Sarà un anno, di lavoro intenso». E l’augurio, la speranza: «Abbiamo le risorse per farcela».

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