Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e coordinatore dei sindaci Pd, la vostra è una sconfitta nettissima. Cosa ha pesato di più?
Le divisioni. Banalmente con questo sistema elettorale la destra si è unita, il fronte democratico si è diviso in tre. Evidentemente il problema non era il campo largo ma non essere riusciti a farlo. Poi la sindrome della sconfitta annunciata che non siamo riusciti a ribaltare in campagna elettorale, che ha demoralizzato la nostra gente e favorito l’ascesa sul carro del vincitore meloniano. Ma c’è qualcosa di più profondo nel nostro rapporto con il popolo; a quindici anni dalla nascita del Pd, dopo sconvolgimenti epocali, ci ritroviamo una ex missina premier; più di qualcosa evidentemente non ha funzionato e dovremmo tutti umilmente metterci a ricostruire dal basso un progetto rinnovato sui contenuti, sul linguaggio e sull’organizzazione. 

Serve riallacciare i rapporti con M5s, dicono in molti. Letta si fa indietro per rendere possibile la ripresa di dialogo. Ma è realistico, dopo questo durissimo scontro?
La destra ha la maggioranza del Parlamento ma non è maggioranza nel paese. Da domani saremo all’opposizione insieme ai Cinque stelle e al Terzo polo. E si apre uno scenario nuovo. Certo non si cancellano le gravissime responsabilità di Conte che ha fatto cadere il governo Draghi aprendo la strada alla destra. Così come, alla luce del recupero elettorale di Conte, un grande errore è stato anche far cadere il governo giallorosso Conte-Gualtieri che ha gestito bene la pandemia e poteva aprire una prospettiva politica a quella stagione di governo comune. 

Letta, di fatto aprendo la strada al congresso anticipato, dice che vi serve una riflessione profonda e un partito nuovo: ma per fare cosa, per scegliere un nuovo segretario e ricominciare come prima?
Sì, troppo facile buttare la croce addosso a Letta. Dovremmo valutare bene gli errori commessi ma soprattutto quale è il nostro ruolo nella società italiana in questo momento storico pieno di insidie e di opportunità. Il perché non siamo percepiti abbastanza come la forza del riscatto sociale e della lotta alle disuguaglianze. Così come non siamo percepiti abbastanza come una forza moderna, dentro gli ingranaggi della produzione e del lavoro. Insomma il senso di responsabilità non basta. Serve un’anima, una sinistra di prossimità che recuperi un rapporto profondo con il popolo. 

Ci sono amministratori che si fanno avanti per il futuro Pd, come il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. Altri ci pensano, in qualche ruolo, da Dario Nardella a Antonio De Caro. E anche lei?
Il problema non sono le ambizioni personali ma la volontà di costruire un percorso nuovo. Dovremo farlo con un’opposizione netta in parlamento e nel Paese, con la capacità di mettere gradualmente in campo un’alternativa fatta di valori e controproposte concrete. La strada sarà lunga ma dobbiamo ripartire. Certo non si ricostruisce nulla di nuovo senza i sindaci progressisti e riformisti. I comuni sono l’unico livello istituzionale dove siamo maggioranza. Governiamo il 70 per cento dei comuni italiani, un motivo penso che ci sia. Di certo darò il mio contributo in questa fase nuova e difficile che si apre. Una risalita dura, ma sono convinto che tutti i sindaci e gli amministratori locali faranno la loro parte come abbiamo fatto generosamente in questa campagna elettorale, pur non essendo candidati.

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