Senza badare agli appelli del Quirinale sull’eccesso di decretazione d’urgenza, il governo mette a punto un altro decreto, questa volta addirittura per diminuire le procedure di infrazioni europee.

Di mezzo ci sono le divisioni e le tensioni nei partiti di maggioranza, con la Lega costretta a digerire misure sgradite. L'ordine è chiaro: blindare tutto. Il vicepremier Matteo Salvini dovrà rimangiarsi la promessa sui limiti di velocità nelle città e spiegare alle lobby vicine al suo partito l’introduzione di norme sgradite. La consolazione è che potrà buttarla in propaganda, prendendosela con Bruxelles.

Eredità dimenticata

L'attore protagonista è il ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, la regista è la premier, Giorgia Meloni. Ed ecco che arriva la produzione dell'ennesimo decreto, un altro remake, piazzato in cima all’ordine del giorno del consiglio dei ministri. Un caso più unico che raro, visto che sulle infrazioni aperte dall’Ue si interviene solitamente con la legge europea. L’ennesima forzatura che viene messa agli atti.

«Non si spiega il ricorso al decreto», dice a Domani Filippo Sensi, senatore del Pd. «La commissione Affari europei che è stata salvata dal taglio nella scorsa legislatura - aggiunge - viene depotenziata. La legge di delegazione europea è il provvedimento più importante su cui interviene e adesso viene appaltato al governo nell’ottica del “prendere o lasciare”. Un atto grave».
Certo, il nodo delle procedure europee va affrontato: ad aprile ce n’erano 83 aperte, di meno rispetto ad altri Paesi europei. Il dato però beneficia del lavoro sul dossier svolto dal governo Draghi, che aveva dovuto affrontare la piaga di oltre 100 infrazioni da smaltire.

L’obiettivo era il dimezzamento in un anno: non è stato centrato, ma il calo è evidente. Tanto che Fitto ha lasciato al comando della struttura di missione, Massimo Condinanzi, che aveva già affiancato Enzo Amendola, precedente sottosegretario agli Affari europei. Un merito che Meloni e soci si guardano bene dal riconoscere ai predecessori: a loro spetta solo l’ingrato compito di subire lo scaricabarile sul Pnrr.

Velocità in retromarcia

Ma dietro alla forma del decreto salva-infrazioni c’è un problema politico. Nella bozza entrata in consiglio dei ministri c’è un articolo che ha smontato mesi di propaganda, orchestrata Lega. 

Nei mesi scorsi Salvini si era scagliato contro l’idea del sindaco di Milano, Beppe Sala, di abbassare i limiti di velocità nei centri urbani, fissandoli a 30 chilometri orari, per garantire una migliore sicurezza e abbattere le emissioni inquinanti. «Ricordo che la gente deve lavorare», fu il commento di Salvini, in polemica con l’ipotesi, pronto a opporsi.

Come una beffa è ora il governo, di cui è vicepremier, a prevedere degli interventi sulla riduzione della velocità. Si prevede «un nuovo sistema di regolamentazione della velocità sulle strade extraurbane principali, secondarie e sui tratti stradali o autostradali che attraversano centri abitati» o «che sono ubicati in prossimità degli stessi, finalizzato a ridurre le emissioni inquinanti connesse ai trasporti», si legge nella relazione tecnica che ha accompagnato la bozza del decreto. Insomma, il piede sull’acceleratore deve essere alzato per contrastare lo smog nelle città, con buona pace del pensiero leghista.
Ancora più indigesto il boccone da mandare giù sulla revisione della normativa per il tabacco riscaldato. Bisogna spiegarlo a una lobby che ha sempre intrattenuto buoni rapporti con la Lega. Già nel 2014 Salvini partecipò allo Svapo day, promosso dai player del settore per scongiurare un aumento della tassazione sulle sigarette elettroniche.

Una battaglia rinnovata ogni volta che è stato messo in agenda un intervento sul comparto, nel frattempo generoso con la Lega, che ha visto le casse rimpinguate dalle donazioni. Nel corso dell’ultima campagna elettorale, per esempio, la VaporArt ha elargito 50mila euro.

Adesso Salvini deve accettare la norma “anti-infrazione”. Nel dettaglio sarà vietata l’immissione sul mercato dei prodotti del tabacco riscaldato che contengono aromi caratterizzanti o aromi in qualsiasi dei loro elementi quali i filtri, le cartine, le confezioni, le capsule.

Insomma, qualsiasi elemento che possa modificare le caratteristiche tecniche e cambiare l’odore o il gusto dei prodotti del tabacco. Cade, dunque, l’ultima barriera del fortino difeso del settore con Salvini costretto al ruolo da spettatore. Ma almeno potrà dire che era un decreto blindato. Voluto dalla solita, cattiva Europa. La stessa propaganda che rinnega con i fatti.

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