Al meeting di Comunione e liberazione Sergio Mattarella ha utilizzato alla fine del suo intervento una lunga citazione: «È nei momenti di confusione, o di transizione indistinta, che le Costituzioni adempiono la più vera loro funzione: essere, per tutti, punto di riferimento e di chiarimento». Per apprezzare l'attualità di queste parole, pronunciate all'università di Parma nel 1995, bisogna ricordare, o far conoscere ai più giovani, il loro autore. Chi è stato Giuseppe Dossetti.

Tra i padri della Costituzione è l'unico cui sia stato dedicato un concerto rock, quello dei Per Grazia Ricevuta di Giovanni Lindo Ferretti, nell'estate 2001, a Montesole, tra le case crivellate di proiettili, le impronte della strage nazista del 1944. «Riconosco che un uomo che fa il partigiano, poi il vicesegretario della Dc formando un gruppetto in dissidenza con la maggioranza e infine si fa prete, è all'apparenza un irrisolto. Ma credo che ognuno di noi, se vive criticamente, deve trovare la forza di uscire dalle situazioni che non lo soddisfano», si presentava Dossetti in una rara intervista, nel 1972 a Panorama. Alto, magro, il sorriso mite ma intransigente. Formato a Reggio Emilia da don Dino Torreggiani, l'assistente dei giovani di Azione cattolica che porta i suoi ragazzi nei campi dei nomadi. Da partigiano sale in montagna, senza armi, rifiuta la violenza. Entra nella Dc, fonda il suo gruppo attorno alla rivista “Cronache sociali”, in polemica con De Gasperi: «Non si può fare politica per il governo e basta». È convinto che il coinvolgimento politico della Chiesa provocherà «un'usura della religiosità». Da costituente dialoga a tu per tu Palmiro Togliatti, nella sede del Pci in via delle Botteghe Oscure. È un leader carismatico, di pensiero e di azione, ma nel 1952 lascia tutto, scioglie la sua corrente, si dimette da deputato, dopo aver abbandonato gli incarichi nella Dc, nel 1959 viene ordinato sacerdote, si ritira in preghiera con la Piccola famiglia dell'Annunziata, vive a lungo a Gerusalemme.

Il monaco Dossetti torna a parlare nel 1994. È anziano, è ricoverato in ospedale a Bazzano, alla vigilia del 25 aprile. Berlusconi ha appena vinto le elezioni, al governo stanno per andare per la prima volta gli eredi del Movimento sociale e la Lega di Bossi, Dossetti si appella a fare qualcosa contro «i propositi delle destre (palesi e occulte)», chiede la nascita di comitati per la Costituzione, con «un'opposizione più unitaria, più organica, più di principio». Il 18 maggio è a Milano, per commemorare l'amico Giuseppe Lazzati. Come la sentinella biblica, scruta «nel mare buio e livido della società italiana», nella fine della Dc vede «la tanta dissipazione che ne è stata fatta per leggerezza e per disonestà diffusa», attacca il nuovo che spinge per conquistare il potere, Berlusconi-Bossi-Fini: «Più che di Seconda Repubblica si potrebbe parlare del profilarsi di una specie di triumvirato: il quale, attraverso una manipolazione mediatica dell'opinione, può evolversi in un principato più o meno illuminato, con coreografia medicea (trasformazione di una grande casa economico-finanziaria in signoria politica)». E spinge a un nuovo impegno politico. Pochi mesi dopo nascerà l'Ulivo, dopo gli incontri nella sua cella da monaco con Romano Prodi accompagnato dalla moglie Flavia. Muore a 83 anni, il 15 dicembre 1996.

Progetto “indicibile”

Nella storia repubblicana, il dossettismo è un fiume carsico, profondo, che nei momenti di crisi riappare in superficie. La rivoluzione nello stato e nella chiesa. La politica che per i cristiani non è questione di competenze, ma di abiti virtuosi, di avere una «lettura sapienziale» della realtà. Un cristianesimo della Parola, l'opposto del Dio-Patria-Famiglia. Il progetto “indicibile”, come lo chiama lo storico Alberto Melloni, di un partito della sinistra cristiana già nel 1948. Dossetti viene chiamato in causa quando si parla di Costituzione e di Concilio, di cui è considerato ispiratore. Nell'estate 2005, nove anni dopo la morte, il settimanale legato a Comunione e liberazione Tempi lo mise in copertina, con il titolo “Il Codice Dossetti”, come il romanzo di Dan Brown avversato dalle gerarchie cattoliche. Più demone che angelo, all'epoca, per i ciellini, che invece qualche giorno fa hanno dedicato una ovazione alle parole citate da Mattarella.

«La Costituzione è stata dimenticata subito. Una volta varata è scomparsa», disse Dossetti a Leopoldo Elia e Pietro Scoppola, in una conversazione del 1984 pubblicata dal Mulino solo nel 2003. Dossetti raccontò un episodio inedito, una riunione dei deputati della Dc all'Assemblea costituente in cui si parlò di presidenzialismo, una proposta bloccata da De Gasperi che temeva la vittoria delle sinistre. Il risultato fu la debolezza della seconda parte della Costituzione su governo e Parlamento, «un garantismo eccessivo», lo definisce Dossetti. Non è mai stato, come lo hanno dipinto gli avversari, il custode dell'intangibilità della Costituzione. Nel discorso di Parma del 1995, citato da Mattarella, immaginava un federalismo moderato, modello Germania, l'elezione parlamentare del presidente del Consiglio, la sfiducia costruttiva, quorum più alti per modificare la Costituzione e per eleggere il presidente della Repubblica. L'opposto del conservatore. Ma è sempre stato inflessibile sui principi fondamentali della Carta. Tra questi Dossetti, appoggiato da Aldo Moro, avrebbe voluto inserire il diritto alla resistenza: «La resistenza individuale e collettiva agli atti dei poteri pubblici, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino», recitava il suo articolo, poi accantonato. La coscienza della persona viene prima dello Stato e delle ideologie politiche. Per questo parlare oggi di Dossetti non significa fare storia, ma politica. Impegnarsi, come nel 1994, con uno schieramento «più di principio», se la situazione dovesse richiederlo. In memoria del “monaco ubbidiente” che riposa nel cimitero di Casaglia, tra le querce di Montesole, dove nel vento la voce delle vittime chiede di non dimenticare.


 

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