Mentre cominciano ad arrivare i risultati dei ballottaggi – un rosario amaro da sgranare, dalle città arrivano quasi solo numeri di sconfitte - Elly Schlein riunisce la sua segreteria. La apre sul tema dell’alluvione in Emilia Romagna, ne discute con Igor Taruffi, capo dell’organizzazione Pd, e Davide Baruffi, responsabile degli enti locali. Per un po’ va avanti un dibattito descritto come surreale. La Romagna è un dramma nazionale. E pure il rischio che il governo fallisca sul Pnrr, altro argomento di confronto.

Ma anche la botta delle amministrative è fortissima, così forte che per molte ore sembra stordire la leader, che al Nazareno parla d’altro. Alle sette di sera la segreteria è ancora in corso, ma c’è poco da fare: la partita delle grandi città era iniziata 8 a 5 per la destra; finisce 9 e 3, persino 10 a 3 se si mette nel conto della destra l’outsider Bandecchi vincente a Terni.

Nelle cinque grandi città al secondo turno, il centrosinistra ha alzato bandiera bianca quasi ovunque. Gli alleati pesano poco, il risultato è tutto sul conto del Pd. Tranne a Vicenza, dove il giovane lettiano Giacomo Possamai vince con un’alleanza civica e centrista per un solo punto. Ma questa vittoria non conforta Schlein: lì non è mai stata invitata, il candidato ha tenuto i leader nazionali ben distanti. A partire da lei. Fioccano i voti dei primi turni in Sicilia: a Catania la destra vince al primo colpo con Enrico Trantino.

Le notizie dei fattacci arrivano da mezza Italia. Male ad Ancona, dove Schlein è andata due volte: ma ha vinto il forzista Daniele Silvetti. Il capoluogo viene espugnato per la prima volta nella storia. A Brindisi è sconfitto il giallorosso Roberto Fusco, il tonfo seppellisce quel residuo di rapporto fra Pd e M5s: il candidato è grillino, ma Schlein e Conte non si sono mai presentati sullo stesso palco. Fusco è l’unico candidato benedetto dalla nuova segretaria attraverso i buoni uffici di Francesco Boccia, gran tessitore del campo largo, mestiere che cadrà in disgrazia almeno fin dopo le europee. Una corsa iniziata malissimo.

Dal Nazareno si sottolineano attenuanti: la nuova segretaria si è trovata candidati già scelti: in Lombardia la sinistra vince nei quattro comuni in ballo (Arese, Gorgonzola, Nova Milanese e Cologno); in Campania Marco Sarracino canta vittoria per Marrano e Torre del Greco. Ma a Roma cedono persino le eterne cittadelle della sinistra come Velletri e Rocca di Papa.

Era l’ultimo voto prima delle europee del giugno 2024. È andato male. E il dissenso interno, a lungo silenziato, ora esce allo scoperto. Il riformista Dario Parrini parla della sua Toscana: «Perdiamo in tutti e tre i capoluoghi di provincia al voto nonostante le crepe pre-elettorali apertesi nella destra a Siena e a Massa», Pisa era una mission impossible; punta il dito sulla sconfitta nera di Campi Bisenzio, «una batosta che ha un valore simbolico, è la città dell’attuale segretario regionale», Emiliano Fossi, schleiniano.

Dall’area riformista c’è chi punta il dito contro le coalizioni orientate a sinistra: «Se non vuoi essere più un partito di centrosinistra, il centro se lo prende Meloni». Ma anche chi è più vicino alla segretaria ammette che «il fatto che lei in queste settimane sia stata lontana, assente, rischia di essere percepito come il motivo per cui si è perso. In realtà si è perso per altro: candidati sbagliati, coalizioni finte, Pd isolato nei territori». Ma «come lo cambi il partito», è lo sfogo sotto promessa di anonimato, «se il responsabile enti locali e organizzazione sono doverosamente impegnati in Romagna? È giusto ma è un problema». «C’è l’esigenza di costruire un partito, cominciamo ad avere problemi nella selezione della classe dirigente» mette in fila le questioni Andrea Orlando, «c’è un vento di destra forte a livello europeo come dimostra la Spagna», e «non è cambiato il vento rispetto a settembre». Insomma il Pd è rimasto in partita, ma la speranza dei primi turni è naufragata. L’effetto Schlein non c’è stato anche perché la segretaria governa il Pd in solitaria. Per questo ora, a torto o a ragione, la responsabilità del risultato ricade su di lei.

Lei non ci sta: «Da soli non si vince», dice finalmente in serata, «C’è da ricostruire un campo alternativo. Ma la responsabilità non riguarda solo il Pd». Oggi volerà a Bruxelles a confrontarsi con la delegazione. Lontano dalla sconfitta, ma vicino al prossimo problema: c’è malumore per le molte indiscrezioni sulle future liste. Per un voto, quello europeo, che non può sbagliare: pena mettere a rischio la sua segreteria.

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