Per cento che ne dice la Lega, nessuna esce invece da via della Scrofa. In questa fase sospesa del governo, stratto tra le scadenze europee e la traversata nel deserto che sarà la manovra di bilancio, il tono del confronto è completamente sbilanciato.

Fin troppo chiara appare la linea di attacco del partito di Matteo Salvini: per ogni passo della premier Giorgia Meloni, che sia di ricucire con la Francia o di tenere bassi i toni intorno ai migranti, parte una missione di sabotaggio da parte della Lega.

Con uno stillicidio di dichiarazioni dai toni sempre più forti, date alle agenzie da tutta la squadra dirigente e con in testa il Capitano. Sui Cpr ci ha pensato il governatore veneto Luca Zaia a demolire l’intuizione, sul piano complessivo per limitare gli arrivi il marchio del fallimento è stato messo dallo stesso Salvini, il tentativo di distendere il confronto a livello internazionale è stato mandato all’aria dalle dichiarazioni del vicesegretario Davide Crippa, che ha paragonato i migranti ai carroarmati tedeschi della seconda guerra mondiale.

Eppure, ogni attacco – anche il più scomposto – è stato incassato in silenzio dal blocco di Fratelli d’Italia, a cui è stato messo il silenziatore. Nessuna risposta, nessun fallo di reazione per zittire le improvvide sortite dell’alleato. 

L’ordine di scuderia, che potrebbe essere frutto della torsione comunicativa imposta con l’arrivo del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, sembra essere quello di non accettare nessuna provocazione e attenersi strettamente alla gerarchia interna: una regola valida per i ministri ma anche per i deputati semplici.

Così le uniche dichiarazioni di commento alle decisioni del governo, a partire da quelle prese in consiglio dei ministri, sono devolute al capogruppo della Camera e fedelissimo della premier, Tommaso Foti. Per ogni tema, invece, gli unici apparentemente deputati a rilasciare dichiarazioni sono i responsabili dei singoli dipartimenti o i presidenti delle commissioni.

Con lui, l’altro con il pass per aprire bocca coi giornali è il responsabile dell’organizzazione, Giovanni Donzelli, che da sempre ha un filo diretto con la premier e ogni suo intervento è calcolato insieme al cerchio di fiduciari della premier.

Il silenzio di FdI

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Con un filo conduttore: non si commentano le dichiarazioni degli alleati. Nessuno ha commentato, nè per seguire ne per smorzarla, la sparata di Crippa sul piano tedesco per sabotare il governo di centrodestra con i migranti come arma impropria. Anche in questo caso, l’unico deputato a citare per nome il leader della Lega è Foti, che ha minimizzato la richiesta di Salvini di un nuovo condono edilizio con un «se formalizzeranno qualcosa lo si leggerà».

La stessa cortina di silenzio è calata anche sui ministri. Nessuno oltre a Giorgia Meloni parla delle questioni di giornata ma tutti rimangono nel circoscritto ovile delle competenze del proprio ministero. Un modo per evitare gaffes o disallineamenti comunicativi, ma anche per rinforzare la strategia emersa in queste settimane: la regia complessiva è saldamente nelle mani di palazzo Chigi e non sono tollerate sovrapposizioni.

Così da due settimane a questa parte non si leggono interviste dei ministri in quota Fratelli d’Italia: da Francesco Lollobrigida a Carlo Nordio, da Eugenia Roccella a Luca Ciriani, fino a Nello Musumeci, Daniela Santanchè e Adolfo Urso. Gli unici strappi, una a Raffaele Fitto sul Pnrr e una a Guido Crosetto sulla vicenda dei fondi alle Ong da parte della Germania.

Il risultato è una comunicazione con il contagocce e tutta scaricata sulla figura della premier, che è ormai l’alfa e l’omega del suo partito e ha scelto la veste dell’incassatrice. 

La strategia, così diametralmente opposta rispetto a quella della Lega, può avere un doppio obiettivo. Il primo è quello di far cadere in un cono d’ombra le dichiarazioni degli alleati belligeranti che, senza un volano di reazioni da FdI, cadono più facilmente nel vuoto di una polemica strumentale nel quadro delle prossime elezioni europee. Il secondo, quello di trasmettere l’immagine di un partito di governo che serra i ranghi e procede per la sua strada, giovandosi del fatto che Meloni in questo momento non ha competitor chiari che possano offuscarne la stella.

Con un campanello d’allarme, però: la campagna martellante della Lega di queste settimane ha riportato il partito, almeno nei sondaggi, alla doppia cifra del 10 per cento. Per ora il calo più significativo riguarda Forza Italia, ancora in balia della riorganizzazione interna dopo la morte del fondatore Silvio Berlusconi, ma anche FdI ha progressivamente perso qualche zero virgola e anche la fiducia nel governo è leggermente calata: il 42 per cento secondo un sondaggio Ipsos per il Corriere della Sera del 13 settembre, contro il 46 dell’inizio di luglio.

Per ora, tuttavia, l’obiettivo di Meloni è quello di attraversare senza troppi danni la fase complicata della prima legge di bilancio politicamente tutta attribuibile al suo governo (l’ultima è stata scritta pochi giorni dopo l’insediamento e sulla scia del governo Draghi). E, come ha dimostrato da quando è a palazzo Chigi, nelle situazioni più delicate la premier sceglie sempre di scommettere soprattutto su se stessa, azzerando quindi il rumore di fondo anche se viene dalle sue stesse trincee.

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