Meloni condanna Israele e attacca i giudici politicizzati

Dopo la lunga pausa estiva, i vertici internazionali e i tentennamenti se intervenire o meno in presenza, la premier Giorgia Meloni ha conquistato il meeting di Rimini. A onor del vero la platea di Comunione e liberazione è sempre calorosa coi vertici di governo che intervengono, soprattutto se in carica, ma il discorso di un’ora della presidente del Consiglio è stato interrotto due volte dagli applausi. Sapientemente bilanciato tra strizzate d’occhio al mondo cattolico (apertura alle scuole paritarie ed enfasi sulla famiglia tradizionale) e attacchi ai soliti noti (opposizione e magistratura), Meloni non ha stupito con nuovi argomenti ma piuttosto codificato il suo orizzonte politico, rivendicandone le scelte. Unica fiammata quella sul genocidio in corso a Gaza, pur ferma la condanna ad Hamas per i fatti del 7 ottobre: «Non possiamo tacere ora di fronte a una reazione che è andata oltre il principio di proporzionalità mietendo troppe vittime innocenti, arrivando a coinvolgere anche le comunità cristiane», ha detto riferendosi al governo Netanyahu. E ancora «Chiediamo a tutte le forze politiche per fare ogni pressione possibile su Hamas per liberare gli ostaggi e chiediamo a Israele di cessare gli attacchi e di porre fine all’occupazione a Gaza e il pieno accesso degli aiuti». Social e propaganda, così il governo sponsorizza l’impegno italiano per Gaza La lista di successi In cima alla lista dei successi e delle rivendicazioni, Meloni ha elencato la «postura internazionale», definita «una missione di fare in modo che l’Italia si riappropri del posto che le spetta nel mondo» e «sono fiera che non sia più la grande malata d’Europa ma un modello di stabilità di governo», considerata dalla stampa internazionale (che certamente le piace più di quella italiana) una «anomalia positiva». A sostanziare i suoi risultati, il modello del piano Mattei, la proposta italiana per la sicurezza dell’Ucraina sul modello dell’articolo 5 del trattato Nato e gli aiuti umanitari a Gaza. Quanto all’Unione europea, ha fatto sue le parole del duro discorso del suo predecessore Mario Draghi («l’illusione del suo potere è evaporata») dicendo di condividere le sue critiche al punto da «averle anche io formulate molto spesso, venendo aspramente criticata anche da chi oggi si spella le mani. Ma sapevo che avrebbero dovuto fare i conti con la realtà». Tornare protagonisti della storia «non è facile, non è indolore, non è gratis. Bisogna essere disposti a pagare il prezzo della propria indipendenza, dopo che per decenni abbiamo appaltato agli Stati Uniti la difesa europea», ha detto, rivendicando l’aumento della spesa Nato in difesa.La sintesi è sempre la stessa: il punto non è «più o meno Europa, ma di una Europa che faccia meno e faccia meglio, che non annulli le identità ma le sublimi». Sul fronte interno, due rimangono i fronti preferiti a cui appigliarsi: la lotta all’immigrazione e la creazione di posti di lavoro. Due questioni su cui rivendicare successi concreti è ancora prematuro, ma perfetti punti da cui partire per lanciare i suoi attacchi alle opposizioni e alla magistratura. Il fronte dei vescovi: «Il governo invita al suicidio i piccoli centri» Gli attacchi «Non c’è giudice, politico o burocrate che potrà impedirci di garantire la sicurezza dei cittadini, di combattere gli schiavisti del terzo millennio e salvare vite umane», ha detto riferendosi alle decisioni della magistratura anche europea in tema di accordi con l’Albania. E ancora, ha attaccato il governo precedente che ha «confuso il diritto al lavoro nel diritto al reddito, rifugiandosi nell’assistenzialismo», mentre «sussidi come il reddito di cittadinanza deresponsabilizzano le persone» e ha fissato l’obiettivo – decisamente ambizioso – di un milione di posti di lavoro a tempo indeterminato. Poche le proposte concrete, fatta eccezione per il nuovo piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie. Il capitolo più denso e anche incendiario è stato quello delle riforme. A dispetto del fatto che fino a luglio la sola riforma a procedere spedita è stata quella della giustizia, la premier ha rilanciato tutte e tre le «grandi riforme», prima tra tutte «quella del premierato» intesa come «unica garanzia di stabilità», poi quella dell’«autonomia differenziata». Il palco, però, è stato propizio per riaccendere la polemica con le toghe che si era temporaneamente placata. L’attacco di Meloni è stato freddo e frontale: la riforma si farà «nonostante le invasioni di campo di una minoranza di giudici politicizzati che provano a sostituirsi al parlamento e alla volontà popolare», per «rendere più efficiente la giustizia per i cittadini e per liberarla dalla malapianta delle correnti». Un modo riuscito per incendiare il dibattito in vista del ritorno in aula alla Camera della riforma per la seconda lettura ai primi di settembre, in vista del referendum costituzionale della prossima primavera. Al netto delle intemerate, Meloni è stata come sempre ben attenta agli equilibri: ha citato entrambi i suoi vice – Tajani per gli aiuti a Gaza, Salvini sul piano casa – poi ha omaggiato la platea cattolica: «Non sono qui a cercare consenso ma a chiedervi una mano». La conclusione è con un bagno di folla, che la galvanizza e forse le fa anche temporaneamente dimenticare i grattacapi del presente: non solo quelli internazionali, ma anche i candidati ancora mancanti per le regionali e la grana del ministero della Salute. L’affondo di Schlein sulla Campania. Resta il nodo Puglia