Le navi delle ong non favoriscono le migrazioni. E anzi, quando le imbarcazioni umanitarie riducono il numero delle operazioni di salvataggio, gli arrivi non calano. Aumentano.

Non sono i presunti nemici dell’Italia né i buonisti dell’opposizione a smentire la tesi del pull factor, secondo cui la presenza in mare delle ong favorisce l’aumento degli sbarchi. È il ministero dell’Interno stesso, con i dati diffusi periodicamente, a confutare la propaganda della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, molto cara all’intero governo.

Già nel novembre 2022, il ricercatore dell’Ispi, Matteo Villa, scriveva: «Partenze di migranti con ong in area Sar (Search and rescue, ndr): 125 al giorno. Con nessuna ong: 135 al giorno». E nel 2019 era stato provato che la “guerra” alle ong non aveva frenato le partenze dalla Libia. Eppure la tesi del pull factor è stata rilanciata, proprio ieri, dalla premier Meloni in una lettera inviata al cancelliere tedesco, Olaf Scholz.

«È ampiamente noto che la presenza in mare delle imbarcazioni delle ong ha un effetto diretto di moltiplicazione delle partenze di imbarcazioni precarie che risulta non solo in ulteriore aggravio per l’Italia, ma allo stesso tempo incrementa il rischio di nuove tragedie», si legge nella missiva che contesta il finanziamento del governo tedesco alla ong Sos Humanity. Un caso che ha scatenato nei giorni scorsi le reazioni irritate di altri ministri, compreso il titolare della Difesa, Guido Crosetto. L’effetto è stato l’inasprimento dei rapporti italo-tedeschi.

Viminale contro propaganda

Le ultime settimane sono una conferma della marginalità delle ong nei salvataggi: c’è stato l’aumento di approdi sulle coste italiane, nonostante le imbarcazioni delle organizzazioni umanitarie siano state quasi messe al bando dal governo con un apposito decreto. Fino alla fine di luglio sono stati registrati quasi 90mila sbarchi, sebbene ci siano state poche navi ong presenti, che hanno portato in Italia solo 3.777 migranti. Il risultato è chiaro: non esistono i “taxi del mare” – definizione molto in voga a destra – visti come un’opportunità dai migranti.

Il discorso meloniano non è quindi contestato dagli avversari. Sono i numeri del Viminale che smontano pezzo per pezzo la narrazione governativa. Nel periodo compreso tra il 1° agosto 2019 e il 31 luglio 2020 gli arrivi mediante i soccorsi delle ong sono stati in totale 4.066: l’incidenza è stata del 18,8 per cento sul dato complessivo dei flussi migratori.

Un’elaborazione dell’associazione Openpolis, che considera l’intero anno solare 2019, riferisce che il 19,6 per cento (meno di uno su cinque) degli sbarchi è da “addebitare” alle ong. Ed è la soglia più alta mai toccata, un record. Dopo c’è un drastico calo. Dal 1° agosto 2020 al 31 luglio 2021, secondo il dossier stilato dal Viminale, gli sbarchi con navi delle organizzazioni sono stati 4.239, pari a solo l’8,6 per cento del complessivo. Significa che nemmeno un migrante su dieci ha beneficiato dei salvataggi nelle organizzazioni non governative. Negli anni successivi il trend è di lieve risalita. Nel 2021, le ong hanno influito sugli arrivi con l’11,4 per cento e con il 10,11 per cento nel 2022, sempre secondo le statistiche elaborate da Openpolis.

I veri pull factor

Le oscillazioni sono stagionali: in estate aumentano le partenze, grazie alle condizioni meteo favorevoli e a un mare più calmo. Poco conta la presenza o meno di navi umanitarie. Un pull factor è rappresentato dal possibile bel tempo. «La criminalizzazione delle ong serve solo a coprire il fallimento delle politiche del governo, che dovrebbe fare solo una cosa: aprire canali legali di ingresso», dice a Domani Giuditta Pini, ex deputata e oggi componente del direttivo della ong Mediterranea.

Una ricerca di Scientific report, rivista del gruppo internazionale di Nature, va nella stessa direzione. Definisce «antiscientifico» il discorso del pull factor correlato alla presenza delle organizzazioni non governative e mette in evidenza i problemi spingono a migrare. «L’insieme dei risultati (della ricerca, ndr) indica che la migrazione attraverso il Mediterraneo centrale tra il 2011 e il 2020 potrebbe essere stata guidata da fattori quali conflitti o condizioni economiche o ambientali, piuttosto che da operazioni di ricerca e salvataggio», si legge nello studio. Si scappa dalla fame e dalla siccità, insomma. «Ripetiamolo tutti in coro: il pull factor dei salvataggi in mare non esiste», sintetizza Villa. E del resto a palazzo Chigi basterebbe leggere la documentazione del Viminale per inviare lettere più precise a Berlino.

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