Quanto conta la conoscenza della storia nelle decisioni pubbliche? Cosa dovrebbero studiare oggi i manager? Come conciliare spirito imprenditoriale ed esigenze di sicurezza nazionale? Qual è il nuovo rapporto tra politica e affari? Attraversiamo un’epoca in cui il rapporto tra pubblico e privato si sta rimodulando radicalmente e queste domande necessitano di risposte nuove.

Fino a pochi anni fa il management delle aziende e i dirigenti della pubblica amministrazione dovevano preoccuparsi soltanto dell’efficienza dei processi e dell’efficacia dell’esecuzione. Essi potevano vivere in due mondi separati che di rado si intersecavano e quando accadeva era più per sfruttare opportunità positive (commesse pubbliche, investimenti in ricerca, deregulation ecc) che per fronteggiare rischi ed emergenze.

Oggi la pandemia, le tensioni internazionali, la guerra in Ucraina, il protezionismo, le nuove domande politiche di sicurezza hanno in pochi anni stravolto il paradigma politico ed economico con impatti rilevanti sulla relazione tra management e governo, tra aziende e burocrazie di stato. Nell’ultimo secolo la “gemellanza siamese” tra management e burocrazie ha creato un vero e proprio sistema di governo, più o meno implicito a seconda delle fasi storiche, che può essere rappresentato attraverso la figura mitologica del Minotauro, un mostro metà burocrate e metà manager.

Questo sistema di governo ibrido ha pesato sulla storia contemporanea e sulla formazione delle élite almeno quanto lo sviluppo della democrazia rappresentativa. L’evoluzione storica del profondo rapporto tra stato e mercato, e in particolare del loro sistema operativo e attuativo, è dunque interessante per tratteggiare una storia del potere di lunga durata e che vada oltre i confini della politica in senso stretto.

Per questa ragione ne Il minotauro. Governo e management nella storia del potere (Luiss University Press 2023) ho cercato di mettere a fuoco la relazione tra il management, cioè l’organizzazione del settore industriale, e il governo, cioè l’organizzazione del settore pubblico. Entrambi condividono l’idea dell’amministrazione.

E senza le risorse, le direttive, le procedure, i calcoli, l’organizzazione dell’amministrazione il concetto moderno di potere sarebbe molto difficile da codificare così come risulterebbe astratta, ideologica e poco realistica la visione di una separazione totale tra sfera pubblica e privata, di una distanza aprioristica, conflittuale a prescindere, tra burocrazia e management. Al contrario la storia mostra una convivenza fatta più di cooperazione, contaminazione e ibridazione che di lotta e avversione.

Di recente l’interventismo pubblico nell’economia è tornato sotto molteplici forme, le catene di approvvigionamento si sono ridefinite a causa dei conflitti geopolitici, nuovi settori tecnologici sono diventati fondamentali per lo sviluppo economico e per la difesa, lo Stato è tornato a proteggere, regolare e investire attraverso la politica industriale. Il mondo di oggi si ridefinisce intorno a nuove domande di sicurezza e protezione, sia nella politica che nell’economia.

E allora le organizzazioni, pubbliche e private, dovranno adeguarsi al cambiamento seguendo nuove coordinate e nuovi stimoli. Di conseguenza, in un contesto in cui l’evoluzione del mercato va raccordata con la ragion di stato la cooperazione tra pubblico e privato è chiamata a generare i migliori valori dell’uno e dell’altro.

Ciò significa che al dinamismo e alla flessibilità del mercato, da preservare per evitare di ingessare troppo le economie, lo stato dovrà tracciare le nuove linee regolatorie e istituzionali della sicurezza nazionale, degli investimenti strategici e della formazione del capitale umano. Le aziende e lo stato non potranno più essere viste soltanto come un fascio di rapporti contrattuali come è stato negli ultimi quarant’anni, ma andranno pensati e governati come istituzioni, cioè come comunità durature capace di condividere in parte obiettivi e interessi.

Nuove relazioni

Ciò implica che i governi dovranno prestare molta più attenzione di prima al mondo aziendale sia per quanto concerne la realizzazione di opere, infrastrutture e programmi pubblici sia per quanto riguarda la relazione tra aziende e politica estera che sarà soggetta ad un maggiore controllo della politica. Il governo dovrà investire di più in certi settori produttivi, con vari strumenti e istituzioni, ma al tempo stesso sarà anche chiamato a controllare maggiormente.

La sfida per politici, dirigenti e manager pubblici è intensa: scrivere regole per proteggere e stimolare, disegnare nuove istituzioni, intervenire selettivamente nel mercato, guidare processi di ricerca e investimento in determinati settori, evitare che si ingenerino pratiche clientelari e neo-patrimoniali, scongiurare eccessi dirigisti e centralisti.

Queste sfide cambiano le coordinate anche per il management delle aziende private poiché oggi la sensibilità politica delle aziende è molto più rilevante. Incentivi green e digitali, sgravi fiscali settoriali, golden power, regole protezionistiche costringono i manager privati a prestare sempre più attenzione sia ai rischi politici internazionali sia alla regolazione economica dei governi. Gli affari vanno avanti ma con un occhio in più allo Stato sia come legislatore che come protettore e investitore.

È evidente che in un mondo del genere la specializzazione e la ricerca della produttività non siano abbastanza poiché ogni dirigente pubblico e privato è chiamato ad una più profonda analisi di scenario che non concerne soltanto costi, benefici e profitti. Servirà una diversa educazione dei capi, più trasversale, interdisciplinare e onnicomprensiva, ma anche nuove istituzioni analitiche e di studio tanto all’interno delle pubbliche amministrazioni quanto delle aziende.

Come istituzioni pubbliche e private riusciranno ad entrare in un nuovo ciclo politico ed economico segnerà le loro possibilità di successo e di sopravvivenza. Acquisirne consapevolezza è un primo passo per agire di conseguenza. La storia è sempre una buona consigliera.  

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