L’indagine della procura di Milano sulla trattativa tra i leghisti e gli uomini di Vladimir Putin dell’hotel Metropol di Mosca è agli sgoccioli. Ma per capire se la riunione che si è tenuta a ottobre 2018, in cui un fedelissimo di Matteo Salvini contrattava una enorme compravendita di gasolio che celava una somma milionaria possa configurare il reato di corruzione internazionale manca un tassello decisivo.

La tessera del mosaico è la rogatoria che la scorsa estate è stata inviata nella capitale russa dai magistrati lombardi per poter ascoltare quattro persone. Tre erano sedute a quel tavolo il 18 settembre 2018 insieme agli italiani Gianluca Savoini, Gianluca Meranda e Francesco Vannucci (tutti e tre indagati), mentre la quarta è un nome di caratura mondiale nel mondo petrolifero, Igor Sechin, amministratore delegato del colosso statale Rosneft, che sorregge l'intera economia russa insieme alla società gemella Gazprom. Se i pm ottenessero il via libera dalle autorità russe sarebbe un colpaccio.

Russian CEO of Rosneft oil company Igor Sechin speaks to Russian President Vladimir Putin during a meeting at the Novo-Ogaryovo residence outside Moscow, Russia, Tuesday, Aug. 18, 2020. (Alexei Nikolsky, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)

Al di là dell’esito della vicenda giudiziaria, avviata successivamente allo scoop del settimanale L’Espresso, che anticipava il contenuto del Libro nero della Lega dei giornalisti Giovanni Tizian e Stefano Vergine, resta un dato politico certo: la trattativa condotta da Savoini, ufficiale di collegamento della Lega con la federazione russa, svelava quanto fosse forte l’influenza russa sul partito sovranista al governo di uno dei paesi fondatori dell’Unione Europea. Putin aveva individuato nei nazionalisti europei in ascesa lo strumento per veicolare le istanze del Cremlino a Bruxelles. In particolare per porre fine alle sanzioni.

Salvini sulla trattativa del Metropol non ha mai fornito risposte adeguate, ha spesso usato l’ironia per allontanare i sospetti: «Mai preso un rublo e non ho barili di petrolio in giardino», ripete di continuo. Tuttavia non è mai entrato nel merito della presenza del suo uomo al tavolo dell’albergo.

Così come ha evitato di rispondere a una domanda cruciale: il giorno prima dell’incontro, in cui si discuteva di mega partite di carburante fornite da colossi dell’energia russa, ha incontrato in gran segreto il vicepremier russo Dmitry Kozak con delega all’energia?

L’unica volta che è stato obbligato a rispondere lo ha fatto a modo suo: «Ho incontrato tanti ministri, sottosegretari, imprenditori, se questo è successo francamente non lo so, e se anche fosse successo lo riterrei legittimo e doveroso». Certamente legittimo ma allo stesso tempo curioso per la tempistica e per gli eventi documentati il giorno successivo a Mosca, a poche ore dalla partenza di Salvini dalla capitale russa.

Senza risposta

Sono trascorsi mesi, dunque, dall’invio della rogatoria alle autorità russe, senza che ci sia stata una risposta. Il tempo stringe: presto scadranno i due anni che la legge italiana impone alla procura per terminare le indagini, perciò i magistrati italiani hanno chiesto aiuto all’Eurojust, l’agenzia dell’Ue con sede all’Aia nata per favorire l’assistenza giudiziaria tra stati. La Russia ha intavolato una collaborazione con l’agenzia, senza però arrivare al momento a un accordo definitivo.

Resta da capire se il ministero della Giustizia russo sia sensibile al richiamo italiano per sbloccare la situazione in tempi brevi. In caso contrario i pm milanesi, pronti anche a partire per Mosca per assistere alle operazioni (non possono interrogare direttamente i testimoni) dovranno prendere atto dell’impossibilità di trovare le risposte alle proprie domande, che dovrebbero essere decisive per evitare l’archiviazione.

I protagonisti del Metropol

Oltre al capo del colosso Rosneft, Sechin, gli altri tre russi da interrogare sono quelli seduti al tavolo il 18 ottobre 2018: i primi due sono stati individuati dopo la pubblicazione dell’audio della trattativa sulle pagine dell’Espresso. Dopo la pubblicazione la procura di Milano ha avviato l’inchiesta per corruzione internazionale.

Dei tre russi seduti al tavolo del Metropol, due sono Andrey Yuryevich Kharchenko e Ilya Andreevich Yakunin. Quest’ultimo sarebbe legato all’avvocato Vladimir Pligin, uomo vicino al Cremlino, mentre il primo avrebbe solide relazioni con Aleksandr Dugin, filosofo legato a Putin e molto amato dall’estrema destra italiana nonché vicinissimo a Savoini, il leghista presidente dell’associazione Lombardia Russia, ex portavoce di Salvini. Il terzo russo sarebbe Yuri Burundukov, uomo vicino al magnate russo ortodosso, Konstantin Malofeev, ma sull’esatta identità non ci sono conferme..

La trattativa

Per capire perché l’esito della rogatoria sia determinante per l’inchiesta è necessario riannodare i fili della storia. L’incontro è iniziato con un discorso politico introduttivo di Savoini, in cui avrebbe spiegato ai russi che la Lega sarebbe stato l’unico argine in Europa «agli illuminati di Bruxelles». Dopo aver connotato politicamente il summit, Savoini ha passato la parola ai tecnici per discutere dei dettagli del finanziamento.

Il meccanismo che celava il finanziamento alla Lega in vista delle elezioni europee del 2019 è stato spiegato dai diretti interessati presenti al Metropol: a vendere il gasolio a un prezzo predefinito sarebbe stata Rosneft; ad acquistarlo sarebbe stata l’Eni.

Dal prezzo pieno della partita il quattro per cento sarebbe andato alla Lega, impegnata nel preparare la campagna elettorale europea che la vedrà trionfare. L’accordo prevedeva, poi, che una quota dello sconto andasse ai russi che avrebbero assicurato il placet politico all’operazione in grado di cementare ancor meglio la Lega alla nomenklatura putiniana. E da qui l’accusa di corruzione internazionale.

Ora i magistrati vogliono sentire, rogatoria permettendo, il potente manager di Rosneft, Igor Sechin: potrebbe conoscere una serie di dettagli utili. I pm sulla base degli elementi raccolti finora sono convinti che sia stato lui a bloccare l’accordo. Anche perché non tutti i fedelissimi di Putin sono amici tra loro. E i tre russi del Metropol sembra che appartenesse a una cordata “nemica”, quella che fa capo al filosofo Dugin e al politico Pligin.

 

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