Fino a martedì minoranze decise a tenere sotto pressione il governo: non c’è fronte che non viene presidiato
Aventino delle minoranze? Lotta dura semmai, ma mai dire Aventino. Le opposizioni hanno tenuto alta la pressione sul governo per il caso Almasri. Respingendo le accuse di aver abbandonato i lavori delle aule che la destra scoccava da talk e social. In effetti le aule resteranno vuote sicuramente fino a martedì, forse fino a che un rappresentante del governo non andrà a riferire in aula.
Ma è vero che tecnicamente non è stato il centrosinistra a incrociare le braccia: mercoledì scorso, alle riunioni delle capigruppo, sono stati i due presidenti delle camere a capire l’antifona. Deputati e senatori hanno minacciato il sabotaggio dei lavori. Palazzo Chigi ha tentato di spedire a Montecitorio il ministro dei Rapporti con il parlamento, Luca Ciriani. Ma le opposizioni hanno fatto muro: volevano Giorgia Meloni.
Al governo, del resto, in quel momento conveniva spegnere le aule: la confusione era totale, nessun ministro sapeva cosa dire. «Abbiamo bisogno di studiare le carte», è stato il messaggio di Ciriani ai capigruppo della Camera. Così Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa hanno deciso di mandare tutti a casa. Per evitare che le sedute si trasformassero in guerriglia.
Martedì, ai capigruppo, il governo dovrà comunicare quale ministro si immolerà per l’informativa. Le opposizioni reclamano la premier. Ma lei, dopo essersi scatenata sui social, difficilmente metterà la faccia sul pasticciaccio, su cui peraltro palazzo Chigi non ha ancora deciso quale versione “ufficiale” fornire. Anche i vicepresidenti Antonio Tajani e Matteo Salvini si sono sfilati.
Le opposizioni invocano Meloni ma puntano a Carlo Nordio. L’anello più debole. Su di lui ci sono due opposti interrogativi, ragiona Enrico Borghi (Iv): «Il primo è la mancata conferma dell’arresto di Almasri richiesta dalla corte d’appello, che ha indotto i giudici a effettuare la scarcerazione; il secondo, per ammissione del ministero della Giustizia, mentre Nordio stava valutando, l’aereo di stato si era già alzato in volo per andare a prendere Almasri».
Ma un volo di stato non parte senza l’input di palazzo Chigi, dunque «delle due l’una: o Nordio sta dicendo una cosa non vera perché avevano già deciso di far espatriare il generale libico; oppure non sapeva che in quel momento la presidenza del Consiglio aveva già assunto la decisione. In entrambi i casi, sarebbe un fatto molto grave».
L’ex Guardasigilli Andrea Orlando, da Radio 1, rincara: «Si tratta di capire perché in Italia girava un personaggio del genere e il ministro della Giustizia non lo sapeva». Ma ne ha anche per il ministro dell’Interno, per il quale il torturatore è stato rispedito in Libia per una «questione di sicurezza nazionale». «Quali sono gli interessi che questa scelta vuole tutelare?», chiede l’ex ministro, «Se il governo ritiene che ci siano cose che non si possono dire, avrebbe apposto il segreto di Stato. Non lo ha fatto, ora deve dire quali le ragioni di sicurezza che hanno spinto a imbarcare su un volo di stato un ricercato internazionale».
Non sarà un Aventino
Fino a martedì, dunque, le opposizioni hanno deciso che il tema dovrà restare caldo. Ciascuno fa il suo, corrono divisi per colpire uniti, praticando da subito il “lodo Franceschini”. Matteo Renzi posta su X un video: «Sta accadendo una cosa incredibile: il parlamento è fermo bloccato. Io sono qui in Senato e non c’è nessuno», la premier «ha deciso di non venire a riferire su quello che è successo col generale libico. Ha fatto una diretta social, un collegamento con Porro, manda le veline alla Rai e però la democrazia parlamentare è bloccata, sospesa. Scappano. Meloni, se hai minimo di dignità e coraggio, vieni in aula».
Nel pomeriggio di martedì, peraltro, il sottosegretario Alfredo Mantovano – anche lui bersaglio delle polemiche in quanto autorità delegata ai servizi segreti – sarà ascoltato al Copasir, dove in precedenza aveva chiesto di riferire dell’altro pasticcio, quello alla voce Caputi (la vicenda dei documenti riservati finiti nel fascicolo dell’indagine della procura di Roma contro quattro giornalisti di Domani, sui quali c’è scritto che i servizi hanno fatto ricerche sul capo di gabinetto di palazzo Chigi): c’è da scommettere che si rifiuterà di parlare di Almasri. Così ha fatto il ministro Nordio giovedì scorso nella stessa commissione.
Occhio agli assist a Meloni
Il punto, in aula e fuori, sarà non cadere nella trappola di Meloni, cioè non essere trascinati nello scontro contro i magistrati: le opposizioni li difendono a intensità variabili, a seconda del partito, ma distinguendo la vicenda giudiziaria dall’aspetto politico dell’affaire libico.
Altro comandamento: non offrire un altro assist alla propaganda della premier. Per questo nessuno parla della mozione di sfiducia alla ministra Daniela Santanchè, voluta solo da M5s e malsopportata dal Pd. «Tempo perso», sbuffa un deputato. A sua volta, però, il Pd si azzuffa con Bruno Vespa.
Il giornalista prima difende il governo («in ogni stato si fanno delle cose sporchissime per la sicurezza nazionale»); poi, al dem Sandro Ruotolo che lo critica, sbotta: «Chieda chiarimenti a Marco Minniti e Nicola Latorre che per conto del Pd si sono occupati al più alto livello della sicurezza nazionale. Sul generale Almasri i governi Renzi e Gentiloni sanno certamente qualcosa». Orlando, che ha fatto parte di quei governi, minaccia querele: «Non avendo mai partecipato a momenti decisionali che andassero in tale direzione, sarà mia cura tutelarmi nelle sedi opportune».
L’opposizione presidia tutte le trincee. Dalla Corte d’appello è arrivata la notizia, non certo sorprendente, che i 43 migranti che il governo, ostinatamente, ha trasferito nei centri in Albania (dove da alcuni giorni si alternano i parlamentari del Pd), dovranno tornare in Italia. Giuseppe Conte attacca sui dati Istat: «Hanno promesso mari e monti ma hanno riportato l’Italia alla crescita “zero”».
Infine i dem inviano in massa gli auguri a Sergio Mattarella, nel decimo anniversario del suo mandato. Sono giorni in cui il presidente appare particolarmente silenzioso. Certo, il capo dello stato non è tenuto a commentare le prime dei giornali, ma se ne indovina il disagio. Comunque: ogni augurio è una lode alla sua guida saggia. E sottintende una critica alla guida dissennata del governo.
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