Si tiene alla larga dei commenti sul governo (di cui sottolinea però la diminuzione delle risorse sulla sanità) ma non è un mistero che a Giorgia Meloni lei, Letizia Moratti, sarebbe piaciuta come presidente della Repubblica. Invece è durissima sul Pd e Cinque stelle e dichiara clinicamente morto il centrosinistra. In questo ha scelto lo stile della coppia Calenda-Renzi che l’ha adottata. O forse lei ha adottato loro?

Presidente, l’endorsement di Silvio Berlusconi non rischia di raffreddare i suoi eventuali consensi a sinistra?

La mia è una candidatura civica moderata, liberale e riformista. Destra sovranista e sinistra “a Cinque stelle” stanno dimostrando tutti i loro limiti e i cittadini ne sono sempre più lontani. In Lombardia nascerà un laboratorio politico di centro, forte e autorevole, concreto e competente, che avrà anche valore nazionale.

L’anno scorso il suo nome era circolato come possibile candidata al Colle per FdI: cosa pensa della vicenda Delmastro-Donzelli? E ha sentito Meloni, la premier l’ha mai incoraggiata per questa sua corsa?

Ho sempre mantenuto il massimo rispetto istituzionale. Credo che sia inopportuno, nel momento più caldo della campagna elettorale regionale, esprimere opinioni su fatti e circostanze estranei a questa competizione.

Se vincerà lei la sua sarà una regione di centrosinistra o di centrodestra?

Sono due concetti superati. Oggi dobbiamo parlare di destra e di sinistra. Vincerò lasciando fuori dai giochi gli opposti estremismi.

Anche lei “mai con i Cinque stelle”, come Renzi e Calenda?

La mia proposta è basata sui programmi e sulle risposte concrete a bisogni reali dei cittadini. Chi condivide questo metodo e questi contenuti è il benvenuto. Ma con il mondo Cinque stelle, quelli della decrescita felice e dei no a tutto, mi sembra davvero difficile pensare a un’alleanza.

Lei vuole essere “il sindaco della Lombardia”. La Lombardia ha già un sindaco forte, quello di Milano, Beppe Sala, molto critico con la giunta lombarda, anche quando c’era lei, che ha fatto un appello per Majorino. Perché secondo lei Sala non la vota?

In queste settimane ho visitato la Lombardia in lungo e in largo, ho percorso più di 10mila chilometri. La regione è percepita molto lontana nei piccoli comuni, in montagna, nelle valli, nelle aree padane distanti dalle città. Occorre riavvicinarla ai cittadini come solo può fare una figura simile al sindaco di paese. Per questo ho adottato lo slogan per cui sarò il “sindaco della regione”. Sala mi sorprende non poco nel suo appoggio a Majorino, tutto intento a celebrare in anticipo il congresso del Pd per consegnare il partito ai Cinque stelle. Chissà cosa ne pensano i riformisti del Pd e come interpreteranno il concetto di “voto utile” attraverso il voto disgiunto.

Lei ha più disponibilità economiche del candidato Pd per sostenere la sua campagna: ha messo più risorse sue o più dei suoi sostenitori? Chi sono, e può darci un ordine di grandezza?

Le casse del Pd sono enormemente più capienti delle risorse che ho messo personalmente a disposizione per questa campagna elettorale.

Il mio impegno è destinato da sempre verso iniziative sociali e culturali come il sostegno alla comunità di San Patrignano, alla fondazione E4Impact che forma giovani in Africa, e l’associazione Genesi che sostiene i diritti umani attraverso l’arte contemporanea.

In futuro sarà fra i riferimenti di un’alleanza di centrosinistra con Terzo Polo, Iv e Pd?

Il centrosinistra non esiste più. C’è solo una sinistra inchinata ai Cinque stelle e un arcipelago riformista al quale offrire valori comuni.

Sull’autonomia differenziata, Meloni ha fatto un “regalo” a Salvini per sostenere il presidente uscente Fontana?

Il disegno di legge sull’autonomia differenziata approvato dal Consiglio dei ministri è solo una trovata elettorale a favore di Lega e di Fontana. È vuoto, non finanzia i livelli essenziali di prestazioni, non prevede il passaggio di competenze e risorse concrete alle regioni. Ricorda la boutade elettorale di quando si è inneggiato alla fine della povertà da un balcone. È irrispettoso nei confronti degli elettori lombardi che nel 2017 votarono il referendum per l’autonomia. Sono trascorsi cinque anni di amministrazione regionale Fontana, nell’inerzia e nel silenzio assoluti su questo tema. Si sono svegliati a una settimana dal voto confezionando questo imbroglio.

Lei accusa gli altri candidati di avere programmi “vuoti”: da dove prenderà i soldi per i nidi gratuiti?

Il presidente uscente non è stato neppure in grado di presentare un bilancio di fine mandato, il programma di Majorino è un elenco di buone intenzioni senza un’idea di come concretizzarle. Per i nidi prevedo un bando da 10 milioni con cui la regione possa individuare i requisiti per la partecipazione dei comuni interessati, anche in forme partecipate. L’obiettivo è definire un elenco di comuni e relative strutture in cui le famiglie potranno avere accesso al beneficio dell’abbattimento dei costi della retta fino zero euro. I fondi a copertura vanno presi dai capitoli sugli investimenti e molti sono già presenti nel capitolo dedicato ai nidi.

Lei è stata assessora al Welfare della Lombardia dopo Gallera, oggi rivalutato da Fontana.

Quando mi sono insediata, a gennaio 2021, la regione era al collasso. La campagna vaccinale contro il Covid arrancava e spediva gli anziani a vaccinarsi a 100 chilometri da casa. Il disastro dei camion militari che trasportavano le vittime della pandemia era negli occhi della gente. Ho azzerato i vertici di Aria, la società che gestiva la campagna vaccinale, e ho assegnato a Poste italiane il servizio. In pochi mesi la Lombardia, da ultima in Italia, è diventata il primo territorio al mondo per vaccinazioni. E nei lombardi è scattato un orgoglio straordinario fatto di senso civico e di eccezionale generosità grazie a migliaia di volontari. Ho scritto e fatto approvare la riforma per il potenziamento del servizio territoriale. Due miliardi di euro a disposizione, di cui 1,2 dal Pnrr e 800 milioni deliberati dalla regione, per la realizzazione di 216 case di comunità, 71 ospedali di comunità e centinaia di ambulatori locali entro fine 2024. Un lavoro avviato, che va ultimato. Così come va ultimato lo sforzo sulle liste d’attesa. Prima di me ogni 100 persone ricoverate per interventi chirurgici oncologici, ben 40 erano operate fuori tempo. Ho fatto realizzare una mappatura patologia per patologia, struttura per struttura, con i tempi di sforamento. Poi ho introdotto delibere penalizzanti per i privati accreditati.

Il privato cresce, e la sanità è la contestazione numero uno alla giunta uscente.

Infatti non basta. Finché un solo cittadino dovrà attendere oltre i tempi previsti per un ricovero o una visita non potrò dirmi soddisfatta. È una questione di equità sociale. Nessuno deve pagare per essere curato in tempi adeguati.

Resta da sanare il capitolo dei medici di famiglia. Con il governo Draghi e i sindacati dei medici avevo definito una bozza di decreto per permettere alle regioni di avere a disposizione i medici di medicina generale per 18 ore settimanali.

Faccio un appello al ministro Schillaci: tiri fuori dal cassetto quel decreto e lo porti in Consiglio dei ministri con urgenza. Sarebbe vitale anche per far diminuire gli accessi e la pressione sui pronto soccorso. E il governo si impegni per dare maggiori risorse per pagare il personale. Con Draghi erano il 7 per cento del Pil, nell’ultima legge di Bilancio sono scese al 6,2.

Nelle sue liste ci sono simpatizzanti di Putin: perché?

La mia lista civica è stata la prima a essere presentata e a essere ammessa con tutti i suoi candidati. Altre liste hanno dovuto operare tagli e retromarce su personaggi incandidabili. Dai miei candidati ho preteso il certificato dei carichi pendenti, non previsto per legge. Nessun altro candidato lo ha fatto. E ogni singola candidatura è stata vagliata da un magistrato mio consulente. Su Putin non esistono dubbi: la condanna unanime all’aggressione dell’Ucraina e la riaffermazione della fedeltà all’alleanza atlantica e all’Ue non sono in discussione per nessuno.

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