Roberto Vannacci potrebbe davvero essere la superstar della Lega alle Europee. Forte delle sue tesi omofobe e sessiste, è pronto alla discesa in campo. Il lungo corteggiamento politico sta andando a buon fine, almeno per il progetto di Matteo Salvini, sempre più con il fiato corto. Assediato dagli alleati, che non condividono i distinguo sulla morte di Aleksej Navalny e non hanno apprezzato i «complimenti a Soru» fatti a Cagliari durante un incontro elettorale.

L’obiettivo ufficiale era la critica alla scelta di Pd e M5s, in realtà è parso un appello al voto all’ex governatore sardo. Così Salvini è sempre più sotto osservazione nel suo partito: la linea radicale non convince una buona parte della classe dirigente. In questo clima, cerca l’operazione per uscire dall’angolo. Vannacci sarebbe quindi a un passo dalla candidatura con la Lega alle elezioni di giugno, seppure da indipendente, secondo quanto raccontano a Domani fonti vicine alle due parti. Il generale è intenzionato a restare fuori dal partito. Lo ha spiegato a chi gli chiedeva invece di mettersi a capo di un movimento tutto suo. Niente tessera: giocherà una partita tutta personale sotto le insegne salviniane. Il capitano spera che in questo modo il partito possa arrivare al 10 per cento, soglia considerata sicura per il destino della sua segreteria.

Poco male per il segretario della Lega, che ha intenzione di piazzarlo capolista in quattro delle cinque circoscrizioni con la sola esclusione delle isole, dove è già stato promesso il ruolo ad Annalisa Tardino, ex commissaria regionale leghista in Sicilia. Anche su questo punto è in corso un ultimo confronto. Il generale sta facendo le sue valutazioni prima di accettare definitivamente la proposta. È consapevole di giocarsi le ambizioni future: un eventuale flop lo metterebbe alla voce “meteore” della politica italiana.

Assegno in bianco

Da parte sua, Salvini deve tenere a bada chi nel partito lo mette in guardia da questa mossa: Vannacci diventerebbe in sostanza il frontman della Lega alle elezioni di giugno. La consegna di un assegno in bianco. Per questo nel partito c’è chi accarezza l’idea di un ritorno alle origini, ancorate al Nord più che alla destra radicale.

Sono i nostalgici di Umberto Bossi, sempre più numerosi, che non vedono di buon occhio l’operazione. Il ministro delle Infrastrutture, però, non vuol sentire ragioni e non è intenzionato ad arretrare. Il suo è un calcolo politico e matematico: è convinto che il generale possa valere almeno 2-3 punti percentuali in più, garantendo al suo partito un buon risultato. Peraltro, la candidatura di Vannacci lo metterebbe al riparo dal balletto di una discesa in campo personale.

Un’opzione che ha già escluso e il generale gli offre la scappatoia ideale. E per di più, se Giorgia Meloni vorrà davvero correre alle Europee per trainare Fratelli d’Italia, dovrà vedersela con il generale, in termini di conta delle preferenze. Ed è lo scenario a cui il leader leghista ha lavorato per forgiare liste di candidati-acchiappavoti (come Aldo Patriciello al Sud) per superare la soglia vitale del 10 per cento e reggere all’urto della corazzata meloniana.

Ma l’iniziativa ha le sembianze di una prova della sua debolezza politica. Il Salvini dell’era pre-Papeete si sarebbe tuffato nella competizione elettorale. I tempi sono cambiati: ora appalta la sfida ad altri. E soprattutto a figure lontane dalle tradizioni leghiste.

Ombre russe

Gli affanni del leader si registrano su vari fronti. Non bastasse lo strapotere di Giorgia Meloni sui dossier interni, i grattacapi arrivano pure sulle questioni estere. Di fronte alla morte di Aleksej Navalny, la Lega ha sfoderato un armamentario di distinguo: «Capisco la posizione della moglie di Navalny, bisogna fare chiarezza. Ma la fanno i medici, i giudici, non la facciamo noi», ha detto Salvini a poche ore dalla fiaccolata bipartisan al Campidoglio, dove il capogruppo leghista al Senato, Massimiliano Romeo, aveva espresso un concetto simile.

Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, per il partito che è stato tra i più filo-Putin in passato. Solo che le parole del leader della Lega hanno provocato la reazione anche degli alleati, compresi quelli solitamente più pacati nei giudizi: «Sull’indipendenza della magistratura russa, è lecito nutrire più di qualche dubbio e credo che ne sia conscio anche Matteo Salvini», ha osservato Maurizio Lupi, deputato di Noi Moderati.

Così come è stato netto il giudizio del segretario di Forza Italia, Antonio Tajani: «La morte di Navalny se non direttamente è stata provocata indirettamente dal Cremlino». E se nel centrodestra c’è una certa insofferenza, a partire da Giorgia Meloni, le opposizioni mettono sotto accusa il vicepremier. Azione ha ritirato fuori la questione dell’accordo stipulato, nel 2017, dalla Lega con Russia Unita, il partito del presidente russo Putin. «Se non smentiranno il rinnovo dell'accordo con il partito di Putin Russia Unita, presenteremo una mozione di sfiducia per Salvini», ha attaccato Calenda. Le ombre russe non vanno via. Nonostante le dichiarazioni di facciata.

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