La destra ha spartito le poltrone del sottogoverno senza le ambasce che qualcuno vaticinava. I posti per viceministri e sottosegretari erano abbondanti, e a parte qualche mal di pancia dei berlusconiani Giorgia Meloni è riuscita a chiudere la faccenda in tempi rapidi, e senza polemiche tra i leader della maggioranza di governo.

In attesa della divisione delle varie commissioni parlamentari (rilievo politico avrà soprattutto la scelta dei presidenti di quelle al Bilancio, dove alla Camera è dato favorito l’ex ministro Giulio Tremonti di FdI) nei prossimi giorni sarà anche il turno delle opposizioni. Pd, M5S e Terzo Polo dovranno proporre i loro prescelti per il Copasir, la commissione di vigilanza sulla Rai e le giunte parlamentari di garanzia.

Sorpresa Boccia

L’elezione del presidente dell’organismo per la sicurezza della Repubblica che esercita il controllo sull’intelligence è certamente quella più sensibile. Per via del momento storico, con una guerra in Europa a cui l’Italia partecipa seppur indirettamente. E per la particolare natura del governo Meloni, sostenuto da due leader – Matteo Salvini e Silvio Berlusconi – molto vicini ad alcune istanze della Russia di Vladimir Putin.

Il Copasir sorveglia il lavoro della nostra intelligence, e con ogni probabilità il futuro presidente sarà del Pd, perché partito dell’opposizione che ha preso più voti. Finora i nomi noti papabili alla sedia erano due: l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini e il senatore Enrico Borghi, membro uscente del Copasir. A Domani risulta però che a sorpresa Enrico Letta stia pensando seriamente anche a un terzo incomodo, cioè il senatore Francesco Boccia.

Dal Nazareno non si registra ufficialmente nemmeno uno spiffero, ma è un fatto che lo spettro dell’ex ministro per gli Affari regionali del secondo governo Conte, agiti da qualche giorno sia Guerini, considerato da molti il candidato naturale a succedere ad Adolfo Urso, sia Borghi, che pure è stato scelto dal segretario uscente del Pd come responsabile per la sicurezza del partito.

I due speravano di giocarsi la presidenza una volta indicati dai rispettivi capogruppo di Montecitorio e di Palazzo Madama, ma adesso temono che Boccia possa prevalere al fotofinish. In virtù di un rapporto amicale con Letta che nessuno dei due può vantare (fu l’attuale segretario a cooptare il professore nel 2005 nel pensatoio lettiano intitolato “Vedrò”). E perché il nome di Boccia – da sempre considerato uno dei principali fautori di una liaison strutturata con i Cinque Stelle – può essere maggiormente spendibile in caso di un “accordo quadro” tra i due maggiori gruppi dell’opposizione.

Non è un mistero che Giuseppe Conte (pugliese come Boccia, si stimano da tempo) voglia piazzare alla Vigilanza l’ex ministro Stefano Patuanelli, e che pezzi della segreteria del Pd spingano dopo la batosta elettorale a ricominciare anche in parlamento una strada comune con l’ex alleato. Una strategia che non contempla ovviamente la coppia Calenda-Renzi, che numeri alla mano rischia di doversi accontentare della giunta per le autorizzazioni a procedere.

Tutti contro tutti

Abbiamo provato a chiedere al marito di Nunzia De Girolamo se le indiscrezioni su una sua possibile corsa al Copasir siano vere oppure se volesse smentirle. Ha risposto: «Sulle commissioni di vigilanza non abbiamo ancora fatto valutazioni e non ho dato alcuna disponibilità. Appena affronteremo quei passaggi se ne riparlerà».

I maligni evidenziano come Boccia, un big che poteva ambire a ruoli di peso, non si è candidato né alle vicepresidenze del Senato, né a capogruppo né a questore. «Vuole tenersi le mani libere per il Copasir», spiega un dirigente del Pd.

A parte Guerini e Borghi, entrambi della corrente di Base riformista del Pd che ha posizioni politiche assai distanti da quelle del filogrillino Boccia, sono però altri a non vedere con favore una sua eventuale ascesa alla guida della commissione. Soprattutto nel mondo dell’intelligence.

«Il senatore è persona capace, ma non sa nulla di servizi segreti. Le sue specializzazioni sono economiche. Ma al Copasir per essere incisivi serve una persona che conosca il comparto della sicurezza come le sue tasche» spiega un’autorevole fonte del Dis che non nega di tifare per «la competenza e l’atlantismo senza se e senza ma di Guerini».

Quest’ultimo ha comunque ottime chance. È vero che l’intesa umana e politica tra l’ex ministro della Difesa e Letta non è mai decollata. Pesa la circostanza che Guerini è stato il vice di Matteo Renzi quando guidava il Pd, e pure la recente decisione del segretario di silurare il numero due di Base riformista Luca Lotti, che non è stato nemmeno candidato alle elezioni. Dal Nazareno giurano però che non esiste alcuna proscrizione sul nome «di Lorenzo. È troppo presto per parlare del Copasir. Nulla è stato definito, ed Enrico non ha chiamato nessuno».

Guerini resta in pole anche perché assai apprezzato nel centrodestra («un democristiano equilibrato con cui si può parlare», il sintetico commento di un deputato leghista), è perché è benvisto da Guido Crosetto, con cui ha lavorato quando il co-fondatore di Fratelli d’Italia era presidente dell’associazione di armieri dell’Aiad.

Variabili

Il suo il ritorno in commissione non è invece sostenuto dai Cinque Stelle. Il piddino resta il ministro che più si è speso in merito al decreto sulle armi da inviare in Ucraina così inviso al M5S, e quello che ha detto sì alla decisione di Mario Draghi di aumentare la spesa militare nazionale.

Dimentichi, i critici grillini, che il fondo che accresceva gli investimenti della difesa era stato implementato proprio durante il secondo governo Conte, per decisione dell’avvocato di Volturara Appula. Anche il nome di Borghi, che dopo anni di servizio nel partito sul tema dell’intelligence in cuor suo è convinto che l’alto incarico spetti a lui, è meno spendibile di quello di Boccia di fronte a un patto con i Cinque Stelle.

Il democrat è sempre stato durissimo contro i tentennamenti dei grillini sull’invio dei fucili italiani o sulle posizioni filo Mosca di alcuni M5S che sostenevano come dopo Zelensky in parlamento «doveva parlare anche Putin». Fossero vere le paure di molti e scendesse alla fine in campo anche Boccia con la benedizione di Letta, sarà comunque Borghi a dover giocare il primo tempo della partita: mentre alla Camera l’indicazione di Guerini come membro del Copasir è scontata, la capogruppo Pd al Senato Simona Malpezzi dovrà scegliere tra lui e Boccia. Chi vince, sfiderà poi l’ex ministro per la presidenza della commissione di garanzia più importante di questa legislatura.

 

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