Il presidente del Consiglio Mario Draghi aveva chiesto celerità nell’individuazione dei sottosegretari, pur lasciando la scelta in mano ai partiti e lasciando il negoziato al suo braccio destro, Roberto Garofoli. Invece, le forze politiche si sono incartate in un meccanismo di veti incrociati e criteri escludenti, che hanno reso il completamento dei quadri di governo un rompicapo infinito, troncato dalla convocazione del consiglio dei ministri di ieri. A complicare la scelta dei partiti hanno giocato due elementi.

Il primo è il numero: i posti da ripartire sono stati solo 39, pochi rispetto al passato e pochissimi per accontentare tutti, soprattutto visto l’allargamento del numero di partiti nella maggioranza. Il secondo è che Draghi ha indicato come requisito quello di comporre una lista di sottosegretari con circa il 60 per cento di donne, per riequilibrare la squadra dei ministri. Oltre a questo, tuttavia, ha giocato un ruolo determinante il meccanismo ripartitorio fatto di rappresentanze correntizie, quote e potentati che ogni singolo partito ha dovuto tenere in considerazione nel presentare la propria lista al Consiglio dei ministri, che è circolata nel corso della seduta.

Le donne del Pd

Le donne del Partito democratico – escluse dalla rosa dei ministri dem e da una settimana in polemica coi vertici – avevano chiesto che le decisioni sui sottosegretari venissero prese solo dopo la direzione del partito. Il premier, però, ha ritenuto di non poter tergiversare ancora nella chiusura della squadra. Dunque il Pd ha ottenuto sei sottosegretariati, di cui quattro sono andati a donne. Per la scelta ha pesato un duplice criterio: preferenza femminile per riequilibrare le quote e particolare attenzione alla rappresentanza del Meridione. Perso infatti il ministero del Sud che era di Peppe Provenzano, i governatori meridionali con il campano Vincenzo De Luca in testa avevano chiesto un rappresentante in un posto chiave per la ripartizione dei fondi sul Recovery. Così dovrebbe essere con l’ex ministro Enzo Amendola, pur se in quota “tecnica” e con la new entry Assuntella Messina, in quota pugliese.

Lega e Forza Italia

I numeri dei sottosegretariati sono stati ripartiti con logica aritmetica, sulla base del numero di appartenenti a ciascun gruppo parlamentare che ha votato la fiducia al governo Draghi. Per questo, la Lega dovrebbe incassare 8 sottosegretari mentre 6 Forza Italia. Se nella quota leghista la scelta dei nomi è stata piuttosto ordinata e gestita da Matteo Salvini, in Forza Italia invece è servito ricorrere ai bilancini per controbilanciare i ministri. Renato Brunetta, Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini appartengono all’area più moderata del partito più lontana dalle posizioni della Lega e sono tutti esponenti della Camera.

Allora per i sottosegretariati i criteri sono stati quelli di individuare i nomi tra i senatori (senza particolare attenzione alle quote di genere viste le numerose ministre) e di dare preferenza all’ala cosiddetta “sovranista” del partito di Silvio Berlusconi, a cui si aggiungerà quasi certamente Giorgio Mulè. Inoltre, uno dei posti è stato ceduto a un rappresentante dell’Udc che con tutta probabilità sarà Paola Binetti.

Movimento 5 stelle

Ancora più complicata, infine, è stata la lotta all’interno del Movimento 5 stelle, instabile per due ragioni: i posti al governo si sono quasi dimezzati e la fuoriuscita di quasi 50 parlamentari ha ridotto il peso del gruppo, portando il numero di sottosegretari a 11.

In questa nuova composizione light il criterio favorito è stato quello della quota di genere, ma a determinare il tutto è stato il giudizio del comitato centrale del Movimento. In questa sede si sono decisi i ruoli, ma a perorare la propria causa sono stati soprattutto i singoli parlamentari. I nomi di peso che hanno spinto per ottenere un ruolo sono Laura Castelli, Giancarlo Cancelleri, che sono stati confermati. Stefano Buffagni, poco gradito in ambiente governativo, è rimasto fuori.

Ad aver tentato di ottenere un posto da sottosegretaria è stata soprattutto la deputata Maria Pallini, ex capogruppo in commissione Lavoro ed esponente dell’area “critica”, che però non raccoglie le simpatie di una parte del gruppo parlamentare. Nel marasma complessivo, tuttavia, il criterio di fedeltà interna e vicinanza ai singoli danti causa sia stata la cifra maggiormente tenuta in conto.

 

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