«Per fare un Di Maio ci vogliono una ventina di Crimi». Un ex parlamentare M5s tira in ballo il ministro degli Esteri, che pure non è amato da tutto il Movimento: eppure, tutti gli riconoscono una capacità di navigare in mari ostili.

Una capacità che manca del tutto a chi ha guidato i Cinque stelle nell’anno più complicato dalla loro nascita, Vito Crimi. Il leader «per sbaglio» che ha retto il Movimento per oltre un anno, ormai, originariamente doveva soltanto traghettare i Cinque stelle verso gli Stati generali, da cui sarebbe dovuta uscire una nuova struttura di partito. Non poteva andare in maniera più diversa: da gennaio 2020 a oggi Crimi ha dovuto gestire la riforma dello statuto, una crisi di governo, le trattative per la creazione dell’esecutivo Draghi e soprattutto le capriole infinite del Movimento e del garante Beppe Grillo.

Quando ha assunto il suo ruolo, all’inizio dell’anno scorso, non immaginava che la sua situazione sarebbe diventata metafora dello stato di salute del M5s: è rimasto bloccato per un anno nel limbo di un ruolo a termine senza che ci sia una fine in vista, mentre attorno a lui tutte le certezze venivano meno. Esattamente come il Movimento, cristallizzato nella riscrittura delle regole interne con un leader in pectore che non riesce a entrare in scena perché non legittimato da un voto che dopo il divorzio con Rousseau i Cinque stelle non possono celebrare.

Grillo e Crimi si conoscono fin dagli inizi del Movimento, quando nel 2007 l’allora assistente giudiziario trasferito dal quartiere Brancaccio di Palermo a Brescia si è iscritto al meetup Amici di Beppe Grillo. La sua storia politica è confusa: negli anni che precedono l’attività nel M5s, tra il diploma e la laurea mai arrivata, aveva votato Rifondazione comunista, Pds, Italia dei Valori e Alleanza nazionale. Un voto erratico per chi è definito da molti compagni di partito gestore storico delle grane burocratiche del Movimento, compilazione delle liste, ricorsi, raccolte di firme: la buona volontà gli è valsa, soprattutto agli inizi, un rapporto privilegiato con Gianroberto Casaleggio, che lo considerava, insieme a Roberta Lombardi per il centro e Roberto Fico al sud, il luogotenente del primo Movimento.

Perso nelle vie

Dopo una disastrosa campagna per le elezioni regionali in Lombardia nel 2010 in cui non è andato oltre il 3 per cento delle preferenze, nel 2013 è stato eletto senatore per la prima volta: resta agli atti l’aneddoto della sua mancata partecipazione al voto della Giunta per le elezioni sull’ineleggibilità di Silvio Berlusconi perché l’allora (primo) capogruppo dei Cinque stelle non era riuscito a trovare il palazzo in cui si riuniva la Giunta.

Al suo collega Mario Michele Giarrusso aveva spiegato che «trovare il luogo non è stato facile. È la prima volta che veniamo qui...» Del suo primo mandato rimane impressa anche l’immagine dello streaming in cui, affiancato da Lombardi, ha affrontato le trattative per la formazione del governo con Pier Luigi Bersani intimandogli: «Non ce la sentiamo di fidarci di voi». Eppure, qualche collega di partito insinua che «nei libri di storia non rimarrà nulla di lui».

Il salto di qualità arriva con il Conte I, nel 2018, che gli ha regalato la nomina a sottosegretario con delega all’editoria: un compito difficile considerata la scarsissima stima per la categoria, che svolge dichiarando guerra a il manifesto e Radio radicale e guadagnandosi in cambio l’appellativo poco lusinghiero di «gerarca minore» (copyright di Massimo Bordin). Ma lo stesso anno, Crimi conosce anche la gioia familiare: dopo il suo fidanzamento con la deputata Paola Carinelli lasciando la sua prima moglie, i due annunciano la nascita del primo figlio.

Dopo una permanenza tutto sommato tranquilla da viceministro dell’Interno al Viminale targato Luciana Lamorgese nel Conte II, l’incarico di portare il Movimento a una nuova organizzazione è giunto a inizio 2020, quando in un teatrale evento Di Maio si slaccia la cravatta e sbologna la gestione dei Cinque stelle e del neonato Team del futuro a Crimi, scelto come membro più anziano del Comitato di garanzia, organo di controllo del partito. I facilitatori, che avrebbero dovuto coordinare i lavori su base tematica e geografica, chiamati da qualcuno nel Movimento anche «power rangers», si dicono oggi delusi della scarsa rilevanza del loro ruolo nella gestione della transizione: «Non siamo mai stati consultati – dice uno di loro – Crimi non ha sfruttato per niente le risorse a sua disposizione». È un rimprovero che gli fanno in molti nel Movimento, la scarsa condivisione delle decisioni e l’indisponibilità a farsi aiutare: unica eccezione, l’organizzazione degli Stati generali a novembre (dovevano essere in primavera 2020), gestita insieme a Roberta Lombardi, che dopo un’indagine di mercato aveva scelto di farsi assistere dai consulenti di Comin&partners.

«Mi dicono che sono la persona giusta per condurre il Movimento in questo momento di crescita, anche alla luce della mia esperienza», aveva detto il neoreggente subito dopo aver ricevuto l’incarico. Una dichiarazione coraggiosa: in privato, molti parlamentari gli attribuiscono una certa presunzione, che, combinata con la sua scarsa volontà di confrontarsi con i gruppi («convocava riunioni solo quando c’erano pressioni, salvo arrivare verso la fine dell’anno anche a vietarle», dice un deputato), l’ha portato a non saper interpretare il momento per indicare una nuova via a un Movimento perso nelle beghe interne.

Il fatto di non esser sempre rimasto nel limbo del carattere temporaneo del suo incarico non gli ha permesso di costruirsi un’autorità nei gruppi parlamentari, a loro volta spaccati in faide su quasi ogni questione. La decisione di procedere, dopo il voto di fiducia a Draghi, quando le defezioni sono state decine, a una serie di espulsioni è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. «Crimi è stato a sua insaputa il liquidatore del Movimento», dice un parlamentare ex M5s, ma lo strappo irrecuperabile con deputati e senatori ora potrebbe costargli caro, anche in termini di patrimonio personale: sembra infatti che gli espulsi stiano valutando una citazione per danni nei suoi confronti.

La missione

Nessuno nel partito nega che Crimi sarebbe stato un ottimo capo temporaneo, dotato di una certa familiarità coi meccanismi parlamentari, di governo e interni al Movimento. In tanti si sono chiesti perché abbia tenuto quella poltrona così scomoda per così tanto tempo. Le risposte sono plurime: da una parte, la situazione era complessa e molti maggiorenti avevano interesse a lasciarla sbrogliare a qualcun altro. Dall’altra, diverse fonti fanno riferimento al carattere quasi religioso dell’impegno di Crimi, che si percepisce come quasi «chiamato» a svolgere il ruolo di traghettatore anche oltre i limiti naturali del suo mandato (quando è diventato «auto-reggente», come qualcuno perfidamente lo chiamava in segreto).

Verso la deroga

Ma una volta superata la data di scadenza dell’incarico, nessuno ha più avuto dubbi: il reggente non poteva diventare leader. I suoi modi, bruschi e ruvidi, mal lo assistevano a destreggiarsi in mezzo a Di Maio, che del tatto utile ad aggirare e comprendere i bisogni dei gruppi ha fatto un tratto distintivo, e Giuseppe Conte, che dalla sua ha un vocabolario forbito e un’immagine autorevole. In un quadro del genere, Crimi ha scelto una strategia bifronte: mentre in pubblico incassava colpi, in privato ragionava su come restituirli. Come è capitato per esempio all’ex viceministro Stefano Buffagni. Quando le sue ambizioni di riconferma al ministero dello Sviluppo economico sono rimaste frustrate dopo le trattative per la formazione del governo Draghi, gestite proprio dal reggente, la versione deduzione di molti parlamentari è stata che l’entusiasmo con cui Crimi aveva difeso la posizione di Buffagni fosse stato piuttosto blando. Una contropartita, forse, all’atteggiamento spesso polemico del deputato lombardo nei confronti del capo politico.

Contemporaneamente, Crimi ha fatto della sua capacità di incassare e abbozzare il suo vero asset. Il nuovo assetto del Movimento non è ancora chiaro, ma quel che è certo è che con la strenua difesa delle infinite giravolte del Movimento, sull’approvazione del Mes, sul voto a favore per del governo Draghi, sull’imposizione di Conte come leader in pectore, Crimi si è guadagnato un credito pesante. Anche in questi giorni, continua a lavorare al fianco del futuro capo sulla nuova struttura dei Cinque stelle, assistendolo anche nella disputa legale con Rousseau e potendo contare sull’orecchio dell’ex presidente del Consiglio: in una situazione in cui il futuro dei parlamentari al secondo mandato è tutt’altro che definito, c’è chi già scommette su una deroga cucita su misura per il senatore bresciano. Come minimo.

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